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CAMON POST - Non dimentichiamo il Bambino di ghiaccio

A proposito di scuola - di Ferdinando Camon

Non vorrei si dimenticasse questa foto che ha girato per il mondo un anno fa: era il 13 gennaio 2018.

Approdò anche in Italia: la foto di un bambino cinese di 10 anni, con i capelli di ghiaccio, le sopracciglia di ghiaccio, le guance paonazze, le mani gelate, le dita gonfie. Uno scolaro delle elementari che per andare a scuola fa 4 chilometri a piedi, alla temperatura di meno 9 gradi. È anche vestito poco: ha una giacchetta leggera, estiva. All’arrivo, il maestro lo ha fotografato col telefonino e ha postato la sua immagine.

Allora lo intervistano giornali di tutto il mondo, gli chiedono: “Ma oggi il freddo è eccezionale, non potevi stare a casa? Ti piace così tanto la scuola?  "E perché?” risponde. La scuola gli piace moltissimo: la ragione principale è che si mangia latte col pane, l’altra ragione è che quel giorno c’era compito in classe e lui al compito in classe non voleva mancare.

I giornali buttano la notizia insinuando, en passant, le notizie sulla crescita della Cina di due cifre all’anno, un miracolo. Il senso è: è giusto che cresca a due cifre un popolo in cui bambini fanno questi sforzi, dan prova di questa sopportazione? A me, che ho passato la vita a insegnare, la nota che mi sorprende di più è un’altra: il compito in classe, un evento importante, che fa vedere al tuo insegnante che cosa hai imparato, come migliori, dove sei forte. Ed è un documento: resta agli atti. Non so come vadano le cose in Cina, ma da noi i compiti vengono conservati e possono essere consultati, un compito è per sempre.

Anche da noi gli studenti affrontano freddo e gelo per fare il compito in classe? No, al contrario:  stanno a casa volentieri. Per questo la notizia mi è sembrata mirabolante. E mi ha commosso. Per questo ne parlo.

È questo che spiega, meglio di tanti altri ragionamenti, la crescita annuale a due cifre della grande Cina: questo bambino s’impegna come s’impegna il popolo a cui appartiene, ce la mette tutta, se lo Stato (il maestro, la famiglia, i parenti…) gli dicono che una cosa va fatta, lui la fa.

Possediamo una foto di questo ragazzino, in cui lui sta dritto in piedi, guance paonazze, orecchie rosse, occhi seri: un ometto di massimo affidamento. Nella foto non si vedono le mani, che si vedono però in un’altra foto, tutta per loro, in cui sono posate sui fogli di un quaderno, a dita aperte, e le dita sono straordinariamente grosse, come per una malattia. Sono i geloni. Nella camminata gli si son gelate le dita, a questo povero ragazzo. Le dita gelate si screpolano e tra i crepetti escono goccioline di sangue. Niente di grave, ma è molto patetico. Il sangue gela subito. È una caratteristica della mani dei bambini poveri, cioè senza guanti. Evidentemente, questo bambino ha marciato per 4 chilometri con le mani all’aperto, non in tasca. Per fare il compito in classe. Per non far mancare al maestro questo documento per la sua completa valutazione.

Nella zona dove vive questo bambino, gli abitanti guadagnano un dollaro al giorno. Sono sacche di arretratezza che lo Stato si rassegna a non migliorare, chiama questi abitanti “lasciati indietro”: lo Stato corre ma non tutti i suoi abitanti corrono con esso, questi, compreso il bambino, sono lasciati indietro. E cosa devono fare? Quel che fa questo bambino: pagare 4 quel che altrove si paga 1. Per gli altri andare a scuola è una camminata, per questo bambino è una traversata polare.

Io (che alle elementari abitavo in una casa senza pavimento, senza acqua, senza riscaldamento) m’ero fatto l’idea che quel che rende, in orale e nello scritto, un figlio che vive e studia in queste condizioni, al momento della valutazione (il voto) andrebbe moltiplicato per 2. Ma non è mai accaduto.

Potrebbe accadere nella lontana e misteriosa Cina? A cominciare da questo bambino di ghiaccio? Dal compito in classe che ha fatto l’altro giorno?


Autore: Ferdinando Camon

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