Arte, Cultura & Spettacoli

Dialoghi sul ''reale'' - intervista di Matteo Basilé

Gli incontri di Visonarea Art Space Roma

Trovo molto bello ritrovarmi in questo angolo del mondo digitale per raccontare come in un diario di bordo, l’incontro con geografie terrestri e umane. VISIONAREA Art Space, appunto nasce come uno spazio fisico a Roma dove da un anno circa ho invitato artisti da varie parti del mondo a raccontare attraverso delle mostre i loro mondi e le loro visioni, ma VISIONAREA è anche un laboratorio, una fucina dove l’arte incontra la città con progetti site-specific fino a giungere qui su Giornale Sentire in una versione più intima con quelli che sono i miei incontri con questi artisti viaggiatori.
Il primo di questi è un italiano nato in provincia di Taranto nel 1979 con cui ho condiviso molti viaggi tra oriente e occidente e che ha appena inaugurato nello spazio VISIONAREA la sua mostra dal titolo FRAMMENTI. Il suo nome è Angelo Marinelli a cui chiedo immediatamente qual è il suo rapporto con il viaggio reale e immaginario.

A.M.: Ho alcune difficoltà a parlare con te di “reale”. Credo che nessuno più di te abbia trovato la chiave simbolica per raccontare quei livelli di immaginario che ognuno di noi possiede e che come patine sottili sovrappone al mondo identificandolo come realtà. La chiave sta appunto nel viaggio che ci permette di conoscere nuove storie e chiavi di lettura che, a volte ci svelano particolari che non facevano parte del nostro immaginario, altre si fondono al nostro rafforzandone l’intensità. 

M.B.: Come e quando hai iniziato a fotografare?

A.M.: Non credo di averne una memoria precisa. Proprio ieri caricando una vecchia Yashica, regalatami da un’amica carissima, ho ricordato quanto verso i 4/5 anni mi offendessi nei riguardi di mio padre se non mi lasciava caricare il rullino nella sua macchina. La presenza in casa di attrezzature come reflex, cinepresa 8mm e proiettore, che all’epoca erano alla base del kit genitore documentarista, hanno da subito stimolato in me una curiosità verso quella magia che per un bambino può essere la foto impressione. La mia prima macchina fotografica tutta mia è arrivata all’età di 6 anni in una gita scolastica al tempio di Hera (Metaponto), la conservo ancora.

M.B.: Nelle tue opere esposte a Roma, racconti un mondo notturno dove la presenza umana è percepibile ma non è visibile. Quali sono questi frammenti e come riconosci il momento, l’angolo e l’ora perfetta per catturare quell’istante?

A.M.: La fotografia mi accompagna, al di là del mezzo, in ogni momento della giornata. Di solito parto da un concetto che in un determinato periodo della vita mi accompagna e i luoghi o i momenti vengono da se. È come se ci fossero una serie di energie che si concentrano per far si che io “osservi” determinate situazioni. In questa fase è come guardare in un imbuto; dettagli di film, letture, conversazioni si incanalano e sfociano in un dettaglio. A volte lo scatto mi appare di fronte come trascinato da quel flusso, altre volte ne studio la luce e ritorno nel momento opportuno, sperando che il luogo non subisca cambiamenti nel tempo. Quello che voglio trasmettere nello scatto è tutto il background di emozioni e pensieri che affollano quel periodo e il “frammento” giusto è quello che istantaneamente riconosco come il giusto riassunto; l’immagine che è sufficiente da sola a riportarmi in un luogo o un momento storico non solo mio ma dell’uomo.
La non presenza umana, in molti dei miei lavori, ha la funzione di rendere quel frammento di storia sospeso nel tempo.

M.B.:Trovo affascinanti le tue atmosfere e mi piace come anche le foto diurne abbiano una luce quasi da eclissi solare che sembrano uscite dalle pagine da un libro di uno scrittore come James Ballard. Qual è il tuo rapporto con la letteratura?

A.M.: Ho sempre subito un forte fascino in chi, come accade con i bravi scrittori, abbia un totale controllo delle sfumature. Trovo che sia una forma d’arte riuscire a riprodurre un’immagine, un profumo, un colore…con la sola parola. Basti pensare agli interni minuziosi di Simenon. Trovo che la letteratura abbia in se due grandi poteri: quello della memoria, intesa come tradizione e identità di un luogo e di un periodo storico, e quello di poter controllare il tempo in un flusso tra passato, presente e futuro spesso non definito (a tale proposito mi vene in mente Ben Lerner). A pensarci ora sono le stesse cose che cerco di trasmettere in un mio scatto con la differenza che il flusso temporale, nel mio caso, lo stabilisce lo spettatore.

M.B.: Quali sono invece gli artisti che ti hanno segnato di più?

A.M.: La mia, definiamola pure, ossessione per la luce mi porta ad amare tutti quegli artisti (pittori, scultori, fotografi) della storia dell’arte che l’hanno sfruttata a pieno. La luce divina nel dipinto Vocazione di San Matteo del Caravaggio, il potenziale drammatico della luce nei gruppi scultorei del Bernini che ritrova la sua perfezione della forma nelle fotografie di Mapplethorpe, la luce che trova una teatralità diurna nelle foto di Giovanni Chiaromonte e crepuscolare con colori e dettagli unici nelle foto di Crewdson, le luci che si mescolano a geometrie di Francesco Jodice…sono segnato da quello che Magritte chiamava “L’impero delle luci”.

M.B.: Dopo Frammenti, che in qualche modo è un assaggio del tuo lavoro, quali sono i tuoi progetti futuri e su cosa stai lavorando?

A.M.: Credo che Frammenti voglia costituire una sorta di punto e virgola nel mio lavoro, un respiro di riflessione per me stesso e per analizzare meglio quali sono i punti su cui voglio concentrarmi. Ho appreso che al centro del mio lavoro c’è una visione fortemente malinconica dell’uomo ed è su questa che voglio concentrarmi. Mi è capitato ultimamente di imbattermi spesso negli scritti poetici di Withman e sono rimasto affascinato dal tema della natura, della sua perfezione e dell’uomo al centro di essa. Ho così deciso di analizzarla nel contemporaneo e, tornando a lavorare su dei soggetti umani, realizzare una serie di ritratti che raccontino la nostra sempre maggiore estraniazione “tecnologica” dalla natura cercando nel mio linguaggio di riavvicinarmi alle forme classico rinascimentali.


Autore: Matteo Basilé

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