foto di copertina: Lucia Baldini
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Attualità, Persone & Idee

La violenza di genere è un problema maschile

Gaia Giongo: ''È una battaglia di diritti umani da combattere insieme''

di Gaia Giongo* - La violenza di genere è un problema maschile. Partiamo da questo. Non solo di quelli che manifestamente la commettono, ma di tutti gli uomini. Perché cresce nell’humus di modelli di genere a cui tutti  noi siamo esposti. Una cultura patriarcale in cui i generi sono gerarchizzati per far sì che uno, quello maschile, detenga poteri, privilegi e proprietà (compresa quella dei corpi femminili). Se pensi che tu no, non tu, tu non usi violenza e quindi perché mai dovresti essere accomunato a quelli, i mostri, i lupi, le mele marce, che mostri, lupi e mele marce non sono, ma uomini come te, pensa a questo:

Se fai parte di gruppi WhatsApp in cui immagini di donne vengono quotidianamente scambiate come oggetti da consumare, merce che rinsalda il potere tra chi e di chi le detiene, allora supporti la cultura che discrimina, stupra e uccide le donne.

Se ascolti parenti, amici e conoscenti che riportano atteggiamenti aggressivi o controllanti verso le donne e guardi in silenzio, allora supporti la cultura che discrimina, stupra e uccide le donne.

Se quando parla una donna in una posizione di potere, che sia al lavoro, a scuola o in un dibattito, la delegittimi (mini la ratio del perché è lì, che è diverso dal non essere d’accordo con lei) perché il consenso e la stima sociale verso una donna ti provocano una paura, una rabbia, un fastidio recondito, allora supporti la cultura che discrimina, stupra e uccide le donne.

Se al lavoro, a scuola o nei contesti sportivi vedi colleghi che classificano le colleghe in base alle loro estetiche e ne parlano come erogatrici di prestazioni sessuali e ti aggiungi alla conversazione o non dici niente, allora supporti la cultura che discrimina, stupra e uccide le donne.

Se consumi una pornografia che rappresenta le donne come pezzi dei loro insiemi, soggetti subordinati, arene viventi dove gerarchizzare e affermare il potere maschile, su cui costruire una identità da dominatori e dove promuovere un rapporto fascista verso il femminile, allora supporti la cultura che discrimina, stupra e uccide le donne.

Se sai che una tua collega, a parità di mansioni, viene pagata di meno o le vengono affidati compiti di “segreteria e manutenzione” che non le spettano o che a rivestire posizioni di vertice, di decision making, arrivano molto più facilmente uomini, e non dici nulla, anzi pensi che in fondo per te è un vantaggio visto che sei uomo, allora supporti la cultura che discrimina, stupra e uccide le donne.

Se ti sta bene che le donne siano quotidianamente oggettificate e iper-sessualizzate nei media per il marketing di qualsiasi prodotto, e invece di sviluppare un senso critico, apprezzi perché, tanto meglio, è un bel vedere, allora supporti la cultura che discrimina, stupra e uccide le donne.

Se utilizzi sistematicamente un linguaggio che riduce le donne ai loro caratteri sessuali, come sineddoche ambulanti (una parte per il tutto), «Hai visto quel culo passare?», e lo fai perché lo fanno tutti, allora supporti la cultura che discrimina, stupra e uccide le donne.

Se pensi che sia l’ordine naturale delle cose vedere le donne che ti circondano (madri, compagne, sorelle e amiche) prendersi l’onore dei servizi di cura, allora supporti la cultura che discrimina, stupra e uccide le donne.

Se pensi e dici che le donne dovrebbero imparare a non ubriacarsi alle feste, che a quelle feste non ci dovrebbero neanche andare e che se succede qualcosa non si possano lamentare, allora supporti la cultura che discrimina, stupra e uccide le donne.

Se quando leggi le notizie di un femminicidio, uno stupro, un’aggressione a una donna, commenti che qualcosa lei avrà pure sbagliato, allora supporti la cultura che discrimina, stupra e uccide le donne. Questa è solo una raccolta ridotta di situazioni e atteggiamenti che costituiscono un contributo quotidiano, sistematico e diffuso alla cultura patriarcale. Perché la cultura si fa, si rinsalda e si tramanda tutti i giorni.

Assolutamente no. Non tutti gli uomini sono violenti, stupratori o assassini. Ma davvero credi di non aver mai contribuito a tutto questo?
È una battaglia di diritti umani, questa, che deve essere combattuta insieme. Ma è ora che gli uomini se ne facciano carico. Tutti.

 

* Gaia Giongo
è laureata in Scienze Criminologiche e

Dottoranda in Studi di Genere presso l’Università

Palermo-Università Statale di Milano

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DRAMMA STRUTTURALE
I recenti femminicidi di Marta Fait e Iris Setti

di Gaia Giongo* -  I recenti femminicidi di Marta Fait e Iris Setti hanno sconvolto la comunità trentina, ma si inseriscono in una serie di crimini, su base di genere, che travalica geografie e culture. In Italia nel 2022, sono 124 le donne uccise. Non è un’emergenza, è una violenza strutturale e capillare.

Strutturale perché affonda le proprie radici in una storica disparità di potere tra generi; capillare perché se è vero che il reato è sempre in capo al singolo, è nella cultura collettiva che trae forza e validazione. I femminicidi sono la punta di un ecosistema patriarcale distorto e asimmetrico, che legittma quotdianamente una certa maschilità alle discriminazioni e che intesta, nell’immaginario di molti uomini (troppi per pensare a mele marce di una società giusta ed egualitaria) il diritto alla prevaricazione.

Le donne non hanno bisogno di “aiuto”, ma di veder il proprio diritto di persone libere essere
garantito. Occorrono operatori della giustizia, esponenti delle forze dell’ordine e magistrati che
sappiano riconoscere, senza se e senza ma, la pericolosità sociale dei futuri assassini e che abbiano
più ampie capacità di analisi del rischio. Incertezze, valutazioni parziali, mancata cooperazione tra
livelli: le falle nel sistema giudiziario si giocano sulla pelle delle singole donne.

Se di fronte a un caso di femminicidio la risposta dello Stato è “É stato fatto tutto il possibile” o “Più
di così non si poteva fare”, allora lo Stato suggerisce che tale violenza è una dimensione che va
accettata. Al contrario, bisognerebbe triplicare gli interventi su più piani, anche quello formativo e
anche verso magistratura e Forze dell’ordine.

A Milano, l’Università Bicocca e l’Università Statale organizzano specifici corsi di formazione sulla violenza di genere aperti a magistratura e/o forze dell’ordine. Anche in Trentino, la Trentino School of Management ha avviato un percorso di formazione per operatori di settore. Il problema è che la formazione è su base volontaria, lasciata allo slancio deontologico di singoli professionisti.

A livello internazionale, invece, alcuni contesti stanno tentando di lavorare in modo più stringente.
In Canada, per esempio, è stata approvata una legislazione che prevede l’istituzione di seminari per
la formazione continua dei giudici, in materia di violenza sessuale, violenza nei rapporti intimi con i
partner, di controllo coercitivo nei rapporti intimi e nelle relazioni familiari e nel contesto sociale.

Formare operatori della Giustizia parte dal presupposto che magistratura e forze dell’ordine
siano immersi nella stessa arena culturale comune, da cui emergono gli episodi di violenza: il rischio,
dunque, è che l’operato risenta non solo di una mancanza di conoscenza empirica, ma anche di
pregiudizi e stereotipi di genere che possono portare gli operatori della giustizia a non inquadrare
correttamente i casi, e a non rispondere con gli strumenti più idonei.

Va da sé che la formazione, insieme agli altri strumenti di contrasto, è un punto chiave per eradicare
la violenza di genere e per garantire efficaci percorsi di giustizia. Una giustizia che lo Stato italiano si
è impegnato a garantire anche attraverso la firma e la rettfica della Convenzione di Istanbul nel 2012,
al cui articolo 49 è esplicitato: “Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per
garantire che le indagini e i procedimenti penali relativi a tutte le forme di violenza che rientrano nel
campo di applicazione della presente Convenzione siano avviati senza indugio ingiustificato,
prendendo in considerazione i diritt della vittma in tutte le fasi del procedimento penale. Le Parti
adottano le misure legislative o di altro tipo, in conformità con i principi fondamentali in materia di
diritti umani e tenendo conto della comprensione della violenza di genere, per garantire indagini e
procedimenti efficaci nei confronti dei reati stabiliti conformemente alla presente Convenzione”. La
comprensione della violenza di genere, a7raverso una formazione altrettanto strutturale e capillare,
è quindi una condizione sine qua non per affrontarla.

 

* Gaia Giongo è laureata in Scienze Criminologiche e

Dottoranda in Studi di Genere presso l’Università

Palermo-Università Statale di Milano

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