
Birmania, riprendono le esecuzioni
Myanmar: dopo la pulizia etnica e il colpo di stato, torna la pena di morte
28 luglio 2022 - Il simbolo della Brimania è ancora lei Aung San Suu Kyi pur tra tanti interrogativi sulla sua vicenda politica conclusasi con una condanna nel gennaio del 2021. Ma di questo paese dopo la sollevazione popolare ormai non si sa più nulla. E dopo decenni sono anche tornate le esecuzioni capitali.
In seguito all’istituzione della legge marziale all’inizio del 2021, in Birmania oggi Myanmar l’autorità di processare i civili è stata trasferita a tribunali militari speciali o a quelli già esistenti, nei quali le persone vengono processate attraverso procedimenti sommari che non prevedono il diritto di appello.
Questi tribunali sovraintendono a un’ampia gamma di reati compresi quelli punibili con la pena di morte.
Secondo il diritto e gli standard internazionali, le esecuzioni che seguono un processo iniquo violano il divieto di privazione arbitraria della vita, nonché il divieto assoluto di tortura e altre punizioni crudeli, inumane o degradanti.
L’ultima esecuzione di cui si aveva notizia in Myanmar risaliva alla fine degli anni Ottanta. Dal colpo di stato militare del febbraio 2021, Amnesty International ha registrato un aumento allarmante del ricorso alla pena di morte nel paese, dove è diventato uno strumento nelle mani dei militari nella incessante persecuzione, intimidazione e minaccia nei confronti di chiunque osi sfidare le autorità.
Lo ha reso noto Amnesty International che si oppone incondizionatamente alle pena di morte in tutti i casi e in qualsiasi circostanza. Più di due terzi dei paesi del mondo hanno abolito questa punizione nella legge o nella pratica.
28 luglio 2022
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Birmania, condannata Aung San Suu Kyi
2 gennaio 2021 - Era stata nominata “Ambasciatore della coscienza”. Nel 2009 Aung San Suu Kyi era circondata solo da stima reverenziale. Ma questo titolo le venne anche ritirato per la repressione sui Rohingya. Poi il colpo di stato per mano dei militari - con i quali Lady Birmania governava - e lei è stata arrestata: il Myanmar è ripiombato nella incertezza esattamente un anno fa.
Circa 12 mesi dopo, il 6 dicembre 2021 il premio Nobel per la pace è stata condannata a due anni di carcere. Accusata di corruzione e di violazione delle regole sanitarie per la detenzione di walkie-talkie. Chiaro che si trattasse solo della scusa per fermarla.
Come si ricorderà le forze di sicurezza di Myanmar avevano aperto il fuoco contro le proteste inizialmente pacifiche contro il colpo di stato del 1° febbraio 2021. I morti furono numerosi e tra questi a simbolo di tutti la giovane 19enne fermata da una pallottolla alla testa mentre manifestava.
Resterà nell'immaginario collettivo l'immagine di suor Ann Nu Thawng che in lacrime implorava la polizia di fermare la violenza e gli innumerevoli arresti di manifestanti.
A capo di Myanmar è ora l'alto generale Min Aung Hlaing, che la Missione delle Nazioni Unite di accertamento dei fatti ha chiesto sia indagato e processato, insieme ad altri militari di alto grado, per crimini di guerra, crimini contro l'umanità e genocidio.
2 gennaio 2022
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LUCI ED OMBRE su LADY BIRMANIA
Per i più Lady Birmania è un simbolo, ma non può essere taciuto il recente passato e di aver deluso i suoi concittadini e il mondo per le persecuzioni che lei (a suo tempo perseguitata) ha inflitto al popolo dei Rohingya.
E' stata infatti più volte accusata di non aver usato la sua autorità politica e morale per salvaguardare i diritti umani, la giustizia e l’uguaglianza in Myanmar e salvaguardare i Rohingya. Peggio: è stata palesemente indifferente di fronte alle atrocità commesse dall’esercito e alla crescente intolleranza rispetto alla libertà di espressione. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, Suu Kyi e il governo civile del paese, dal 2016 governava il Myanmar in cooperazione con i militari, che «non hanno usato la loro posizione e la loro autorità morale per evitare gli eventi che si sono verificati nella regione del Rakhine».
Da quando, nell’aprile 2016, Aung San Suu Kyi è diventata leader di fatto del governo a guida civile, la sua amministrazione è stata parte attiva nella commissione e nel perpetuarsi di molteplici violazioni dei diritti umani.
E' stata ripetutamente criticata per non aver preso la parola nei confronti delle atrocità commesse dai militari contro la popolazione rohingya dello stato di Rakhine, nel nord di Myanmar. Le sue forze di sicurezza hanno ucciso migliaia di persone, stuprato donne e bambine, arrestato e torturato uomini e bambini e incendiato migliaia di case e di villaggi. Oltre 720.000 rohingya sono fuggiti in Bangladesh. Un rapporto delle Nazioni Unite ha chiesto che alti ufficiali dell’esercito siano indagati e processati per il crimine di genocidio.
Nel settembre 2017 è stata oggetto di critiche da parte di un'altra Premio Nobel per la pace, la pakistana Malala Yousafzai, che, a proposito delle violenze perpetrate dall'esercito birmano contro la minoranza musulmana Rohingya, ha chiesto "Condanni violenze contro Rohingya" attraverso un tweet. Anche il ministro degli esteri britannico Boris Johnson ha "avvertito" la leader birmana che questi fatti stavano "sporcando" la reputazione del paese. Le forze di sicurezza birmane, invece, accusano i ribelli Rohingya dell'incendio dei villaggi e delle atrocità contro la loro stessa gente nello stato di Rakhine.
Numerose altre proteste si sono succedute nel 2017 sullo scacchiere internazionale contro Aung San Suu Kyi e il suo comportamento giudicato indifferente - quando non propriamente ostile - nei confronti dei musulmani Rohingya. Di tali contestazioni si sono resi protagonisti artisti come Bono degli U2 e Bob Geldof, mentre istituzioni come il Comune di Oxford, il sindacato britannico Unison e l'Università di Bristol hanno ritirato le onorificenze precedentemente concesse. Alcuni esperti di crimini di stato dell'Università di Londra Queen Mary hanno segnalato che Suu Kyi sta "legittimando questo genocidio" in Myanmar
Il 27 settembre 2018 il parlamento del Canada ha decretato, con votazione unanime, la revoca della sua cittadinanza onoraria canadese. Il 12 novembre 2018 Amnesty International le ha revocato il premio "Ambasciatore della coscienza" a Aung San Suu Kyi, accusandola di non aver sufficientemente salvaguardato i diritti umani nel suo paese.
Nel 2019 il Gambia (Stato africano a maggioranza musulmana), denuncia formalmente Aung San Suu Kyi alla Corte internazionale di giustizia con l'accuso di genocidio verso i Rohingya.
Venne ripetutamente chiesto al Comitato per il Nobel norvegese il ritiro del premio Nobel per la pace assegnato nel 1991. La possibilità di un ritiro del premio assegnatole nel 1991 era circolata sui media dopo che una commissione delle Nazioni Unite aveva raccomandato di processare i capi delle forze armate del Myanmar per genocidio e per altri crimini contro l’umanità, commessi nei confronti della minoranza di religione musulmana che vive nel paese, i Rohingya.
Il Comitato per il Nobel norvegese rispose che il premio Nobel per la pace non poteva esserle revocato.
(settembre 2020)
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