Attualità, Persone & Idee

Come distingueremo il vero dal falso?

AI - intelligenza artificiale, benvenuti nel regno della confusione

Come distingueremo il vero dal falso? E' una delle grandi questioni nell'epoca dell'AI.

L'immagine che vedete in copertina, ad esempio, è artificiale. E' bella e ci piacerebbe fosse vera. No è artificiale. L'ha creata Malik Afegbua, digital creator nigeriano dall’enorme talento, che si concentra con stile originale ed efficace sui temi della diversità culturale e della discriminazione in base all’età.

Ci sono artisti che impiegano la potenza del digitale in senso non solo creativo ed estetico, ma anche etico e consapevole. Tra questi c'è certamente Malik Afegbua, che nel campo della creazione di immagini artificiali, cerca di fornire un modello positivo possibilmente educante.

Il problema è però sempre lo stesso: come distingueremo il vero dal falso nell'era della AI?

Un recente studio condotto da ricercatori in Australia, Canada e Gran Bretagna, guidato dalla psicologa cognitiva Amy Dawel della Australian National University, ha evidenziato come i volti creati dall’IA siano percepiti come più realistici di quelli veri. Nel campione preso in considerazione, solo il 5% dei volti reali sono stati riconosciuti come tali, a fronte del 66% di quelli artificiali avvertiti come veri.

La ricerca, oltre a trattare il problema enorme della capacità di discernimento di volti falsi creati dai nuovi strumenti digitali, illustra anche la tendenza delle IA, verificata in diversi altri studi, ad amplificare il ‘vecchio’ problema degli stereotipi e della discriminazione attraverso le immagini:

“Data la rapida evoluzione del mondo in seguito all’introduzione dell’IA, è fondamentale assicurarsi che nessuno rimanga indietro o risulti svantaggiato in qualsiasi situazione, si tratti di etnia, genere, età.”

La Dott.ssa Dawel, di fronte al problema emerso, sottolinea inoltre come sia necessario affrontare il problema attraverso una formazione mirata: “Dato che gli esseri umani non sono più in grado di riconoscere i volti creati dall’IA, la società ha bisogno di strumenti in grado di identificare con precisione gli impostori che si avvalgono di questa tecnologia. Educare le persone a una percezione realistica in relazione ai volti generati dall’IA potrebbe contribuire a renderle consapevoli di fronte alle immagini presenti online.”

E dunque come guardare in faccia la realtà con la certezza che si tratti di realtà?
Il tutto rimanda anche alla nostra dipedenza tecnologica: lo smarthphone ci rende felici o ansiosi?
 

La scelta di Ed
 

Il Pew Rersearch Center di Washington ha pubblicato la scorsa primavera un report prezioso sul rapporto tra adolescenti e dispositivi digitali. Alla domanda di come si sentono ragazze e ragazzi quando restano senza smartphone o tablet, il 32% ha affermato di sentirsi ‘felice’, il 25% ‘sereno’. Dati che fanno pensare a come i piccoli schermi quotidiani siano per gli adolescenti una presenza problematica, che faticano però a gestire;  come confermano anche le altre risposte date, che ribadiscono una chiara dipendenza dal mezzo: la mancanza del telefono digitale rende ‘ansioso’ il 10% del campione, fa sentire ‘solo’ un altro 8% e ‘arrabbiato’ il 7%.

Numeri preoccupanti, sui quali riflettere nelle scelte da compiere a livello istituzionale sul rapporto tra strumenti digitali e nuove generazioni.

E tuttavia siamo gettati nel mondo delle immagini. Pensiamo a come si comunica il rischio ambientale e climatico. Sono soprattutto le immagini a svolgere un ruolo di primo piano. Ecco due esempi che dicono qualcosa:
 

E' evidente che servono competenze per comprendere se l'immagine è reale o come nel caso (sopra) generata dalla IA.

"L’IA non è solo Chat GPT, Midjourney, i deepfake, gli assistenti virtuali o i digital humans, ma è sottilmente presente in ogni aspetto delle nostre vite. Riguarda tutte e tutti."

Questo bene potrebbe diventare un male solo se si perderà di vista che l’IA è un mezzo per migliorare la vita, non un fine, non uno strumento di potere, non un dio. A livello tecnologico e normativo ci si è già mossi per iniziare a delimitare il campo e marcare la differenza tra ciò che nasce dal lavoro e dall’intelletto umani (ben supportati dai mezzi digitali) e ciò che è frutto di operazioni algoritmiche e automatizzate, proprie del funzionamento del deep learning. In questa direzione va la normativa della Comunità Europea sul tema, approvata lo scorso dicembre e che rappresenta la prima azione legislativa di questo genere al mondo.

Leica, in collaborazione con protagonisti dei media mondiali come Adobe, New York Times, France Press, BBC e altri, ha creato la prima fotocamera per fotogiornalismo (la M11-P) che permette di scattare foto con una crittografia che le certifica come originali, per contrastare il dilagare delle fake news per immagini, come accade in tanti casi relativi alla guerra a Gaza, creati per aumentare la disinformazione e l’odio di parte. Sony, Canon e Nikon, altri tre colossi della fotografia, hanno già dichiarato di volersi adeguare a Leica anche nei loro prodotti.

Due esempi importanti che dicono l'urgenza del problema. Tuttavia leggi e soluzioni tecnologiche, per quanto utili, possono arginare, contrastare e limitare solo parzialmente gli utilizzi scorretti, dannosi, pericolosi di un potere come quello dell’IA.

E’ necessario dunque creare una consapevolezza diffusa, educare, fornire insegnamenti pratici a partire dalle generazioni più giovani, per far sì che un uso cosciente, sostenibile e creativo dell’IA divenga innanzi tutto patrimonio  personale di cittadini e cittadine che,  a partire dalle pratiche personali quotidiane, esprimano un’opinione pubblica che esiga comportamenti corretti, ecologici, da parte di chi produce, gestisce e diffonde le tecnologie e i contenuti dell’IA.

(fonte: Nuovi Occhi per i Media)

 

 

www.giornalesentire.it - riproduzione riservata*

Commenti (0)

Articoli correlati