Arte, Cultura & Spettacoli

Zehra Doğan, avremo anche giorni migliori

Le opere dalle carceri turche esposte a Brescia

Oltre 13.800 visitatori e una media giornaliera di 200 presenze, la prima mostra personale in Italia dell’artista e giornalista curda Zehra Doğan (Diyarbakir, Turchia, 1989) “Avremo anche giorni migliori – Zehra Doğan. Opere dalle carceri turche” nella cornice del Museo di Santa Giulia a Brescia ha destato grande interesse. Promossa dal Comune di Brescia e dalla Fondazione Brescia Musei, diretta da Stefano Karadjov, è stata prorogata fino all' 8 marzo 2020.

La vicenda personale e i drammatici eventi politici di stringente attualità sono materiale della mostra di grande potenza espressiva. Il percorso espositivo concepito da Elettra Stamboulis riunisce circa 60 opere inedite, tra disegni, dipinti e lavori a tecnica mista, che interessano tutto il periodo della detenzione dell’artista nelle carceri di Mardin, Diyarbakir e Tarso, dove Zehra è stata rinchiusa per 2 anni, nove mesi e 22 giorni con l’accusa di propaganda terrorista per aver postato su Twitter un acquarello tratto da una fotografia scattata da un soldato turco. Il disegno digitale mostrava la città di Nusaybin distrutta dall’esercito nazionale nel giugno 2016 con le bandiere issate e trionfanti, e i blindati trasformati in scorpioni.

Accanto alle immagini, anche brani del diario scritto durante la prigionia. Si tratta di riflessioni in cui Zehra Doğan più volte fa riferimento ad artisti che nel corso della storia hanno manifestato il proprio dissenso senza pagarne, almeno apparentemente, le conseguenze e a quegli artisti che invece si rifiutano di prendere una posizione.

“Avremo anche giorni migliori, Opere dalle carceri turche” è un progetto  dedicato all’opera della fondatrice dell’agenzia giornalistica femminista curda “Jinha” già ospitata alla Tate Modern di Londra, città in cui Zehra Doğan ha scelto provvisoriamente di vivere il proprio esilio.

Dalle opere emerge la sofferenza da dietro le sbarre: la necessità irrefrenabile di produrre e raccontare non tanto la propria, quanto l’altrui condizione con l’immagine e la parola. Dalla carta di giornale alle stagnole dei pacchetti di sigarette, dagli indumenti di uso comune ai frammenti di tessuto, dal caffè agli alimenti fino al sangue mestruale.

Zehra Doğan è stata rilasciata il 24 febbraio 2019. La sua storia di artista dissidente ha da subito raccolto l’interesse e la solidarietà del mondo dell’arte internazionale, tanto che Ai Weiwei le ha scritto una lettera personale e, lo scorso anno, Banksy le ha dedicato il più ambito dei muri di Manhattan, il Bowery Wall, con un’opera che la raffigura dietro le sbarre, mentre impugna la sua arma più potente: una matita. In tutto questo periodo, l’artista non ha mai cessato la propria attività artistica e giornalistica, realizzando opere con materiale di recupero, collaborando con le compagne detenute nella costruzione di immagini e nella realizzazione di un giornale di bordo che documentasse la loro detenzione.

Zehra Doğan  ha anche realizzato dal vivo in presenza del pubblico il ritratto di Hevrin Khalaf, segretaria generale del Partito del Futuro siriano, attivista per i diritti delle donne e in prima linea per il riconoscimento dell’identità del popolo curdo,  uccisa il 12 ottobre 2019 da alcuni uomini appartenenti alle milizie mercenarie arabe che appoggiano l’offensiva turca.

L’artista ha lavorato sulle pagine del giornale che per giorni ha dato la notizia dell’uccisione. La performance seguita dal vivo dal pubblico è stata intensa e l’opera prodotta verrà incorniciata e inserita nel percorso espositivo della mostra, oltre alla realizzazione di un video dedicato al racconto di quella speciale giornata.

Attivista femminista, tra i primi giornalisti internazionali ad avere raccolto le testimonianze delle donne Yazide scampate all’ISIS, Doğan dedica alla rappresentazione della donna la parte più vasta della propria produzione.

Il corpo rientra nella rappresentazione politica con scene di guerra in cui di nuovo incorre la predominanza della presenza femminile, a sottolineare come la prima delle battaglie da vincere sia quella contro il patriarcato. Pablo Picasso, quello di “Guernica” e dell’elaborazione di un linguaggio specifico della disperazione è, nelle parole dell’artista stessa, il punto di riferimento fondamentale per definire una narrativa del dolore.

La mostra è resa possibile grazie all’impegno del web magazine Kedistan (“Il Paese dei gatti” in turco) che ha curato il salvataggio e il trasporto delle opere di Zehra Doğan dalla Turchia e che si occupa dell'archivio dell'artista e di Associazione Mirada, partner del progetto.

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