Arte, Cultura & Spettacoli

Dall'Ade all'Eden

Intervista a Markus Vallazza di Corona Perer (2007)

Corona Perer -  C’è un giorno nella vita che tutti abbiamo bene a mente. E’ il giorno in cui abbiamo capito qualcosa di determinante per la nostra vita.
Per Markus Vallazza “quel giorno” inizia posando il dito indice sul dorso di un volume riposto da tempo. La pagina che si apre diventa rivelazione. L’artista sente di essere l’uomo narrato i quei versi: un essere angosciato, nel pieno della vitalità eppure mortalmente ferito. “quel giorno” capitò anche a Dante, in un lontano equinozio di primavera del 1300.

A Dante Markus Vallazza ha dedicato almeno 10 anni della sua vita. Ma preferirebbe non parlarne e che fosse il suo lavoro a parlare per lui. “Artisti si diventa lavorando, non parlando”. Cita Goethe, Markus Vallazza. Dice che parlare non è il suo forte. Ma passeggiando tra le 60 incisioni estratte dal corpus di opere dedicate alla Divina Commedia (una centinaia), si racconta senza reticenze rivelando nella semplicità il tratto tipico del grande artista. C’è solo un aggettivo per definire la sua impresa: strepitosa, come strepitose sono le incisioni scelte dalla curatrice Margherita De Pilati.

Sono l’esito di 10 anni di studio dentro le cantiche dantesche sulle orme di un cammino esistenziale che ha come vertice l’unica cosa importante per l’uomo: l’amore. Amare ed essere amati. Anche la mostra inaugurata ieri al Mart alla presenza di un folto e sceltissimo pubblico che con un lungo applauso gli tributa stima e affetto, è un atto di amore. “Perchè ci propone un viaggio nel Bene e nel Male che è  in noi” ha detto la direttrice Gabriella Belli orgogliosa di ospitare al Mart un artista di portata europea (“se non mondiale” ha commentato). Certamente uno dei massimi incisori viventi e tra l’altro altoatesino, perciò uomo che vive nel suo DNA il tema dell’identità. “Sono europeo” ha risposto quando gli abbiamo chiesto se si senta più italiano o austriaco.

Fisico asciutto e sguardo penetrante, Markus Vallazza non cela il vero movente del cammino fatto dentro le cantiche: la sofferenza. Si è disegnato sia tra i dannati dimoranti negli inferi che tra le anime in attesa del Purgatorio come tra quelle già approdate ai celesti cieli (a forma di... pizza, un bel disco di pane dove stanno Holderlin e Leopardi, Shakespeare, Van Gogh, Einstein e Goethe). “In ognuno di noi c’è Paradiso e Inferno” dice Vallazza che agli inferi destina alcuni vescovi, generali e politici. “E Bush non c’era quando ho iniziato” mi dice, facendo capire che gli avrebbe riservato un angolino nell'Inferno proprio come faceva Dante con i suoi più indigesti contemporanei. Ma entrare nel poema è stato per lui come rinascere.

Quale è stata la molla?
Una profonda crisi esistenziale, pensavo di non uscirne vivo. Ero nella selva oscura.
 

Le è così tornato alla mente uno studio giovanile?
No, io la Divina Commedia non l’avevo mai studiata. L’ho scoperta da solo, nel momento più buio della mia vita.
 

Che cosa ha provato leggendo la prima cantica?
Che quell’uomo ero io: perso nel mezzo del cammino della vita. Un impulso irrefrenabile mi ha portato a leggere Dante e a studiarlo. Ho letto una trentina di libri prima di mettermi a disegnare.
 

Quanto tempo le è servito per  l’intero ciclo?
Tre anni di lettura e sette di disegno, progettazione, incisione.
 

Cosa rappresenta per lei la Divina Commedia?
L’invito all’unica dimensione che veramente serve all’Uomo: l’amore.
 

Dante indicava all’uomo il cammino purificatore della fede. E’ possibile per l’uomo d’oggi questo invito?
Sì. Non sono nè un cattolico praticante, nè un teologo, ma Dante propone l’unica cosa necessaria: la ricerca del compimento di sè stessi.
 

Lei ha potuto conoscere i grandi dell’arte. Chi è restato nel suo cuore?
Lo scultore Giacometti. Come uomo e artista è stato fondamentale nella mia formazione.
 

E di Ezra Pound conosciuto a Firenze cosa ricorda?
La faccia. Straordinario: bello come un profeta
 

Guardando la sua opera cosa pensa?
Che ho fatto bene a risparmiare i soldi per lo psicanalista e a leggermi la Divina Commedia. A Dante devo la mia rinascita.

 

L’ultima confessione riguarda il senso ultimo del suo lavoro:  aver scorazzato tra le cantiche non serviva solo a fuggire la depressione, ma a dire che solo l’amore motiva il nostro stare al mondo. Un amore che si racchiude nella storia struggente di Paolo e Francesca. E’ quanto più gli preme oggi come allora.
L’accento austriaco non sciupa la bellezza del famoso verso dantesco che Markus Vallazza ama ripetere. “E’ l’amor che fa girar il sole e le alte stelle. Nient’altro conta: solo l’amore”. Come dargli torto?

(Corona Perer, 2007)

 


Autore: Corona Perer

www.giornalesentire.it - riproduzione riservata*

Commenti (0)