
In difesa del diritto
''Arrivati a questo punto della nostra storia, il diritto va tutelato, protetto, strenuamente difeso''
di Gloria Canestrini* - Scriverò oggi in difesa del diritto. Che il diritto sia uno strumento indispensabile è certo un'ovvietà, se per diritto intendiamo l'insieme di norme giuridiche destinate a garantire la pacifica convivenza sociale attraverso la disciplina dei rapporti fra i componenti della società e fra la società e i suoi componenti. Sotto questo aspetto, questa nozione coincide con l'Ordinamento giuridico, ovvero la certezza della sua applicazione secondo norma. Ma che, arrivati a questo punto della nostra storia, il diritto così inteso vada di per sé tutelato, protetto, strenuamente difeso, è un aspetto meno ovvio.
Se le norme, le convenzioni, gli accordi internazionali, vedono infatti in molti casi e contenziosi tra Stati una battuta di arresto, subendo, di fatto, un ridimensionamento mai immaginato a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, anche gli ordinamenti giuridici statali rischiano di vacillare sotto il peso di interessi e spallate di forze che con gli ordinamenti stessi non hanno nulla a che fare.
Prima fra tutte, la cosiddetta opinione pubblica, spesso condizionata da social e televisioni.
Un caso emblematico, quello della nuova inchiesta di Garlasco, che, come ormai si sa, si era conclusa da tempo con una condanna in Corte di Cassazione, passata in giudicato insieme a due inchieste archiviate contro altri soggetti diversi dall'unico condannato.
Quello del giudicato è un istituto che si credeva assimilato dai cittadini, oltre che dagli operatori del diritto (giudici, magistrati inquirenti, avvocati): in realtà, però, questo principio che è di civiltà, oltre che di stabilità ordinamentale, non sembra essere più così certo.
Recentemente ho udito un avvocato affermare in un'intervista che l'”opinione pubblica” si è fatta un'altra idea rispetto alla sentenza definitiva. E che questa idea inficerebbe i presupposti della sentenza stessa.
Va da sé che la vox polpuli può certamente dissentire dall'operato della magistratura (cosa di per sé comprensibile e lecita, se limitata alla mera espressione di opinione) però mai dovrebbe arrivare, forte dei numeri e del supporto di taluni orientamenti giornalistici, a condizionare l'operato dei giudici.
Anche nel “caso Garlasco”, riaperto a distanza di una ventina d'anni con grande clamore mediatico, abbiamo assistito a un' amplificazione ( per alcuni osservatori una vera forzatura) senza precedenti delle procedure, ad esempio con l'utilizzo del concorso , ossia l'imputazione di co-responsabilità di altri soggetti, oltre al condannato in via definitiva, nella commissione del reato per riaprire un procedimento già chiuso dal giudicato , oppure con l'annuncio di revisione per correggere un asserito errore giudiziario. In tal caso, dimenticando che, oltre a richiedere nuovi e inoppugnabili mezzi di prova, questo mezzo straordinario di impugnazione di una sentenza definitiva nel nostro codice di procedura penale può essere richiesto se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza impugnata non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile, non certo sulla scorta di diversa interpretazione delle prove già esaminate in precedenza.
Stiamo, in buona sostanza, assistendo a una sorta di riesame collettivo e popolare delle scelte definitive della magistratura giudicante , delle analisi e delle consulenze su cui si sono fondate, dell'operato prestato dalla polizia giudiziaria ( carabinieri, polizia, guardia di finanza) : una sorta di revisione di fatto che porta quasi sempre a pesanti giudizi su tali scelte.
Spesso ci si dimentica che ogni processo, civile o penale che sia, comporta delle decisioni e che, talvolta, queste possono essere sbagliate. Se sono censurabili, però, lo si può avanzare con gli strumenti giudiziari previsti dal codice: riesame, appello, ricorso e via dicendo, non certo a furor di popolo. Social network e tivù permettendo...
Il rischio è quello di ritrovarci a un livello di civiltà giuridica quale quello che abbiamo, fortunatamente, superato, rappresentato dal processo inquisitorio, in cui si indagava attivamente per trovare prove e stabilire la colpevolezza di un imputato, a differenza del sistema accusatorio.
* avvocato
Autore: Gloria Canestrini
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