Arte, Cultura & Spettacoli

Alle origini del pregiudizio

Donne e Società - di Franco Marzatico*

Secondo il racconto tramandato dal poeta Esiodo un vaso fu donato da Zeus a Pandora con la raccomandazione di non aprirlo: contenva infatti i mali che affliggono l'uomo. Ma Pandora, che aveva ricevuto dal dio Ermes il "dono" della curiosità, non tardò  a scoperchiarlo, liberando così tutti i mali del mondo, che erano gli spiriti maligni della "vecchiaia", "gelosia", "malattia", "pazzia" e il "vizio". Sul fondo del vaso rimase soltanto la speranza (Elpis), che non fece in tempo ad allontanarsi prima che il vaso venisse chiuso di nuovo. Aprendo il vaso, Pandora condanna l'umanità a una vita di sofferenze, realizzando così la punizione di Zeus.

Del resto anche nella Bibbia Eva non sa resistere al frutto proibito del diavolo tentatore e coinvolge Adamo nella disubbidienza. Basterebbero questi due esempi per dare la misura di come nell'antichità, in termini transculturali, si sia alimentato il pregiudizio nei confronti di quella che viene definita romanticamente come  "l'altra metà dell'Universo".

L'impostazione di pensiero del mito greco e della Genesi, nonostante l'emancipazione femminile dei nostri tempi, riaffiora come retaggio atavico nella quotidianità.

Non si smette di dire che la "curiosità è femmina". Ma non scordiamoci che anche i compagni di Ulisse aprirono il sacco di Eolo con i venti, pensando contenesse tesori: ma questo resta un dettaglio.

Per la donna nel mondo greco e romano il "marchio di fabbrica" mitico è in fondo quello della seduzione e dell'astuzia scaltra. È - la metis - che possiede anche Ulisse, il Nessuno ingannatore del Ciclope e del cavallo di Troia. Penelope che di notte riduce la tela ordita di giorno non è esente: per il fatto stesso di essere donna ricorre a un trucco, per quanto a fin di bene.

D'altra parte, come rileva Eva Cantarella in Itaca, in fin dei conti accetta che il vincitore della gara con l'arco diventi il suo nuovo compagno.

Se Penelope nel nostro immaginario è la donna  ideale, di una fedeltà che persiste nonostante un'assenza di anni, a ben vedere in Omero presenta dei lati ambigui perchè femmina.

In ogni caso la donna della Grecia e di Roma arcaica ha un ruolo e uno spazio ben definiti. Sono quelli della dimensione domestica, del lavoro al telaio, della procreazione e dell'ubbidienza al maschio di cui rappresenta una sorta di "ornamento".

Gli elogi dedicati in epoca romana da consorti alle mogli defunte delineano con chiarezza i confini "ideali" nei quali doveva collocarsi la donna. Pia, pudica, casta, lanifica, domiseda, frugi.

Le qualità sono legate alla pudicizia e alla castità, alla vita domestica, alla filatura. In definitiva, come recita una massima dialettale, che la "piàsa, che la tàsa e che la stàga en càsa": che piaccia, che taccia e che stia in casa.

Chi sovverte queste regole dettate dal potere maschile, come le donne etrusche che partecipano al banchetto, si sdraiano sui divani con maschi, bevono fino a ubriacarsi, sovvertono un ordine precostituito nella cultura greca e romana. Sono quindi additate come esempio negativo, come donne "facili" e prostitute.

Le Amazzoni, le donne guerriere che la leggenda vuole prive di un seno per tirare con l'arco, sono del resto l'emblema di un "mondo capovolto", di terre selvagge senza civiltà. Andare alle radici dei pregiudizi e del loro conformismo ci aiuta a leggere la realtà attuale dove per affermare pari opportunità si deve ricorrere alla legge.


*Franco Marzatico è archeologo, Sovrintendente Beni Archeologici
Dipartimento cultura Provincia di Trento
 

 

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