Arte, Cultura & Spettacoli

Jannis Kounellis, la mia idea di progresso

''Penso che l’errore sia di prenderlo troppo sul serio''

''Io penso che l’errore sia di prendere troppo sul serio il progresso. Il problema sta nella nostra ipocrisia, nei nostri interessi''. Jannis Kounelis (Pireo 1936–Roma 2017), maestro dell'arte povera, artista intenso e di grande teatralità, anticonformista e rivoluzionario, nel cuore portava Masaccio e Caravaggio.

Nato in Grecia, a 20 anni si trasferì a Roma per studiare con Toti Sialoja. Raccontiamo in qiesta pagina un'indimenticabile installazione che evavamo visto e recensito a Trieste ai Magazzini del Sale. C'era dentro la Grecia e la passione: era la drammaturgia del mare.
Mori nel febbraio 2017 ad 81 anni.

Intervistato poco prima di morire sulla società guardata con gli occhi di un rivoluzionario sia nell'arte che nella vita, mise in luce le contraddizioni di una visione consumistica del vivere.

''La gente avverte certe necessità solo perché indotta. Non si può chiedere a un abitante dell’Amazzonia di essere come un cittadino di New York che gioca in borsa - disse - è la nostra violenza a produrre questi effetti.  E la globalizzazione è lo strumento estremo di tale pratica. Rende tutti uguali: apparentemente, però. E, in fin dei conti, è una bolla di sapone''.

Il Museo del Novecento, a Firenze, propone dal 15 marzo al 9 giugno 2024 "La stanza vede. Disegni 1973-1990", una mostra dedicata ai disegni di Jannis Kounellis, con la direzione artistica di Sergio Risaliti e a cura di Dieter Schwarz.  Un centinaio di disegni eseguiti su carta, per lo più a china, matita, carboncino, tra gli anni Settanta e Ottanta.

La sua ricerca, iniziata dal quadro nudo e puro, aveva sfondato i limiti della pittura ed era sfociata presto nel rifiuto dei mezzi tradizionali. Kounellis aveva lasciato la Grecia, dove era nato, a soli vent'anni diretto in Italia dove ha contribuito al rinnovamento dell'arte negli anni Sessanta. Quando allestisce la sua prima personale italiana alla Galleria La Tartaruga, nel 1960, Kounellis ancora frequentava l'Accademia, ma aveva già chiaro dove sarebbe arrivato: al coinvolgimento del pubblico, fondamentale per completare l'opera d'arte. Il passo successivo e la svolta definitiva sono la performance e l'uso di materiali organici e inorganici, che rimandavano comunque alla realtà, come ferro, legno, carbone, iuta, animali vivi, brandelli di carne.

Nel 1969 espose dei cavalli vivi da Fabio Sargentini, a Roma, per rappresentare il conflitto ideale tra cultura e natura, in cui l'artista è ridotto al ruolo marginale di artefice e l'opera si realizza nella partecipazione e nella relazione tra pubblico e opera.

Jannis Kounellis, Centro Arti Visive Pescheria, Pesaro 2016. Photo: Michele Alberto Sereni.

 

Una prima retrospettiva a due anni dalla morte si tenne grazie alla Fondazione Prada nel 2019, curata da Germano Celant; ''Jannis Kounellis'' fu realizzata in collaborazione con l'Archivio Kounellis, riunendo più di 70 opere dal 1958 al 2016, provenienti da musei italiani e internazionali, provenienti da importanti collezioni private sia in Italia che all'estero. La mostra esplorava la storia artistica ed espositiva di Jannis Kounellis instaurando un dialogo tra le sue opere e gli spazi settecenteschi di Ca’ Corner della Regina.

Fu l'occasione ideale per capire l'evoluzione della sua pratica artistica: i primi lavori dell’artista, tra il 1960 e il 1966, trattavano il linguaggio urbano: scritte e cartelli reali delle strade di Roma. Successivamente, l'artista trasferì lettere, frecce e numeri neri su tele bianche, carta o altre superfici, in una decostruzione del linguaggio che esprimeva una frammentazione del reale. Dal 1964 in poi Kounellis affrontò temi tratti dalla natura, dai tramonti alle rose. Nel 1967 l’indagine di Kounellis divenne più radicale, abbracciando elementi concreti e naturali tra cui uccelli, terra, cactus, lana, carbone, cotone e fuoco.

Kounellis è passato da un linguaggio scritto e pittorico a uno fisico e ambientale. Così l'utilizzo di entità organiche e inorganiche trasformò la sua pratica in esperienza corporea, concepita come trasmissione sensoriale. In particolare, l'artista ha esplorato la dimensione sonora attraverso la quale un dipinto viene tradotto in spartiti da suonare o ballare.

Già nel 1960 Kounellis cominciò a cantare le sue lettere su tela e nel 1970 l'artista incluse la presenza di un musicista o di una ballerina. Un'indagine olfattiva, iniziata nel 1969 con il caffè, è proseguita negli anni Ottanta con elementi come la grappa, per sfuggire ai limiti illusori della pittura e unirsi al caos virtuale della realtà.

Nel corso della sua ricerca artistica Kounellis sviluppa un rapporto tragico e personale con la cultura e la storia. Rappresenterà infine il passato con una raccolta incompleta di frammenti di statue classiche. L'eredità greco-romana venne esplorata attraverso la maschera, come nell'installazione del 1973: una cornice di legno su cui sono posti i calchi in gesso dei volti. La porta è un altro simbolo dell’insofferenza dell’artista verso le dinamiche del suo presente. I passaggi tra le stanze sono chiusi con pietre, legno, macchine da cucire e tondini di ferro, rendendo inaccessibili alcuni spazi per enfatizzarne la dimensione sconosciuta, metafisica e surreale.

A Trieste nel 2013, ai Magazzini del Sale, ex-Pescheria liberty, portò una sorta di testamento: la drammaturgia del mare.

Allestì pietre come lacrime pesanti come sassi che scendevano dal cielo e si posavano sulle onde, grani di un immenso rosario appesantiti dal dolore di chi assiste muto e silenzioso al dramma del mare.  Le pietre che calavano, annodate alle tipiche corde dei marinai, erano al tempo stesso pesanti e leggiadre. Affondavano e sollevavano.

Kounellis fece calare le pietre (come fossero stelle del cielo) su un enorme disfatta: c'erano relitti di barche allineate e smembrate dalla furia del mare. E sembrava che il loro giacere non avvenisse su un arenile o un pontile, ma su un vero e proprio letto di morte al quale assistevano, mute e veglianti, delle sedie vuote ma vestite a lutto.

Quelle lacrime-stelle sembravano salite proprio dagli astanti-assenti: non c'erano (ed hanno infatti lasciato solo la loro veste da lutto), ma era restato tutto il loto dolore, raffigurato dai mantelli neri come ''presenza viva e orante''.

Jannis Kounellis, stava parlando anche della sua storia di figlio del mare. Nato al Pireo nel '36 e figlio di un ingegnere navale, a Trieste - città che visitò da bambino durante un viaggio col padre - aveva realizzato un'opera coerente con il suo agire artistico, forte ed evocativa. Lui che aveva sempre fatto i conti con i materiali poveri, rinvenuti magari in un cantiere e ri-assemblati, aveva dato forma al pathos e al dramma, tipicamente greco, che riguarda l'uomo e la sua storia.

La mostra curata da Davide Serchioni e Marco Lorenzetti, e da loro intitolata semplicemente "Kounellis Trieste" aveva ricevuto dal luogo una sua magica sacralità. Il salone degli Incanti, un tempo pescheria cittadina, con la sua conformazione a navate ed il suo soffitto a volte, è infatti del tutto simile a una basilica in riva al mare. E quella messa in scena da Kounellis era una orazione funebre. All'artista l'ex-pescheria dell'impero austro-ungarico sembrò subito (lo raccontò lui stesso all'affollata inaugurazione alla quale avevamo partecipato nel settembre 2013) il luogo ideale per ospitare l'epica vicenda di tanti uomini posti di fronte all'immensità del mare a cui si legava il  lavoro, il presente e il futuro, il sostentamento della famiglia ed anche il passato nel ricordo dei propri morti.

Per l'artista questa mostra era qualcosa di più: un tornare sui propri passi di bambino quando il padre lo portò a Trieste. La mostra lo riportava al mondo al quale è sempre rimasto legato: quello dei naviganti e delle loro inevitabili tragedie. Una storia di mare coraggio e operosità commovente che sembra dire qualcosa anche del dramma della nazione greca vessata dalla Troika proprio in quegli anni.

Kounellis non era però artista rinchiuso nel suo status: aveva la passione per la teatralità del vivere, per il popolo, così due anni dopo Trieste, nel 2015, partecipò al monumentale falò della Focàra, a  Novoli (Lecce), dove ogni anno viene acceso in onore di Sant’ Antonio Abate, patrono della città del Salento. La "notte del fuoco" è  un affascinante rito tra sacro e profano che risale all'epoca bizantina che vede nel rogo la purificazione e la rinascita

Kounellis ne fu inevitabilmente affascinato. "C'è il fuoco punitivo dell'inferno - disse in quell'occasione l'artista - e c'è il rito della purificazione. Quello di Novoli è popolare, segno di unità e partecipazione, E' un rituale quasi teatrale e una vittoria perché tutto rinasce, compresa la linfa vitale che si rigenera".

La sua opera per l'occasione consisteva in una grande croce di ferro inserita dentro la catasta destiata a restare come simbolo di pace.
Il greco aveva ancora una volta lasciato il suo segno.

(Corona Perer)
 

 


Autore: Corona Perer

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