
Libri ritrovati
L'avventura più avvicente con un libro? Trovarlo una seconda volta
A cura di Gloria Canestrini - L'avventura più avvincente con i libri è scoprirli una seconda volta, magari affondati tra gli scaffali della biblioteca nel corso di un trasloco. Allora capita che afferrato il volumetto, mai dimenticato, magari creduto perduto, l'incontro diventa emozione. Si viene avvolti da un turbine di sensazioni: il tempo trascorso tra te e un'essenza che rimane, un tuffo al cuore per la sorpresa di un incontro inaspettato, il riattivarsi di una sintonia, la curiosità: saremo invecchiati bene come quelle pagine? Capita allora che dimentichi lo scatolone aperto che stavi facendo, ti siedi sul primo supporto improvvisato e ti immergi tra le pagine di quel tesoro ritrovato. La fatica scompare nella gioia di un abbraccio con un amico ritrovato, mentre affiora la consapevolezza che non c'è alcuno strappo nel lasciare una casa, fintanto che i libri viaggiano con te.
GEORGE ORWELL MEMORIE DI UN LIBRAIO

Per introdurre questa rubrica prendo a prestito l'incipit di George Orwell in Memorie di un libraio, il quale nel pezzo sagace e ironico “Buoni brutti libri” (contenuto per l'appunto nella raccolta di cui parleremo tra poco) scrive:
“ Non molto tempo fa un editore mi ha commissionato un'introduzione per la ristampa di un romanzo di leonard Merrick. Questa casa editrice ha, pare, intenzione di riproporre una lunga serie di romanzi minori e semidimenticati del Novecento. E' un servizio prezioso, in questi giorni senza libri, e provo una certa invidia per la persona cui toccherà frugare tra le scatole da tre penny a caccia dei titoli più amati in gioventù.”
Di “tempi senza libri” già si parlava nel 1945, anno in cui fu scritto questo breve, delizioso saggio : oggi potremmo dire che i nostri tempi sono peggiorati, anche se pare il contrario: infatti contano e vengono massicciamente distribuite solo certe novità editoriali, molto reclamizzate ma ben presto dimenticate. Torniamo a un genere che, a quanto pare, oggi difficilmente pubblichiamo, ma in auge alla fine dell'800 e all'inizio del Novecento, quello che Chesterton definiva del “buon brutto libro”: vale a dire, quel tipo di libro senza pretese letterarie, ma che resta leggibile e godibile anche quando le pubblicazioni più impegnate soccombono alla dimenticanza.
Per Orwell, indimenticabile autore di classici come La fattoria degli animali, Trilogia della libertà, 1984 e La neolingua della politica, quali sono, dunque, i buoni brutti libri senza pretese, che offrono un'oasi di pace, che lasciano al lettore la libertà di godere della lettura senza condizionamenti o giudizi esterni, in barba ai recensori costretti a elogiare anche ciò che disprezzano?
Eccone un breve e sorprendente escursus.
Appartengono a questa categoria le storie di Raffles, ladro gentiluomo creato da Ernest Hornung, (cognato di Conan Doyle, celebre autore di Sherlock Holmes) e altri autori coevi che hanno mantenuto, egli scrive, “salda la loro posizione quando innumerevoli romanzi problematici, documenti umani e terribili accuse sugli argomenti più vari sono caduti in meritato oblio”.
Nello stesso gruppo di Conan Doyle egli annovera poi le prime storie di Richard Austin Freeman, autore di L'occhio di Osiride, romanzo poliziesco del 1911, che ha come protagonista l'investigatore scientifico dottor Jhon Thorndyke, ambientato nella upper middle class, il quale indaga sulla sparizione di un noto egittologo appena arrivato a Londra.
Scendendo un pò di livello, Orwell ricorda poi il thriller tibetano di Guy Boothby, ma anche gli scrittori umoristici minori dello stesso periodo, anch'essi classificabili, al pari dei thriller menzionati, quali fortunati rappresentanti della cosiddetta letteratura di evasione.
Riguardo a questa definizione, che ha colpito e continua a tacciare molte opere validissime ( come non ricordare certi affascinanti romanzi gotici francesi e inglesi , i rocamboleschi fantasmi tedeschi, i racconti del terrore spagnoli, i vampiri dei Carpazi, fino ad arrivare alle fantastiche e avventurose ambientazioni salgariane) è ormai unanime il suo ripudio: leggendoli infatti si comprende la generosità dei loro autori , che non finiremo mai di ringraziare per la loro scelta di narrare fatti avvincenti, anziché avvolgere il lettore nelle spire di problematiche (personali o altrui) che non raccontano nulla.
Nella scrittura dichiaratamente di evasione invece, negli scritti dei maestri del brivido o dell'umorismo, è presente una traccia di leggerezza che, ai fini della sopravvivenza, si dimostra più vitale dell'erudizione o del mero esercizio intellettuale. A volte, il gusto dell'esagerazione o dell'assurdo può far nascere nel lettore il sorriso, come nel caso della Capanna dello zio Tom, un romanzo involontariamente paradossale, pieno di episodi insensati e melodrammatici, ma che allo stesso tempo commuove ed è vero nella sostanza.
I titoli di cui abbiamo parlato, prendendoli ad esempio in una costellazione di altri “buoni brutti libri”, obbediscono al bisogno di distrarci: sono piacevoli frammenti della memoria, angoli tranquilli dove la mente può andare a curiosare di tanto in tanto, liberi, senza condizionamenti e scritti per divertimento ( oltre che per necessità creativa) dell'autore, capaci di prendere sul serio i problemi della gente comune con un trasporto e una raffinatezza intellettuale che sa però di gioco. Un gioco serissimo.
Anche lo stile, pur diverso da autore a autore, distingue queste opere “leggere”: mai esibizionistico, mai autocompiaciuto o autoreferenziale , ma pieno di grazia, ossia della grazia di chi scrive nel modo più chiaro e diretto per raccontare efficacemente una storia. Ciò non significa, è bene sottolinearlo, scadere nella sciatteria, nel linguaggio impoverito che ben conosciamo ai nostri giorni, anzi: ogni parola è scelta con cura, con precisione, priva di qualsivoglia affettazione.
Per inciso, nelle Memorie di un libraio, George Orwell - oltre all'agile saggio sui buoni brutti libri - descrive anche le lunghe giornate trascorse come commesso in una libreria dell'usato, tra volumi polverosi e clienti stravaganti. Il volumetto che ho scovato nella mia biblioteca, con la copertina flessibile di un bel giallo antico dove volano leggeri dei volumi che paiono rondini, è quello edito da Garzanti nella collana I piccoli grandi libri e ha il merito di introdurci a una riflessione ironica e appassionata sulla lettura.
Nella prossima puntata questo punto di vista si sposterà su un altro testo curioso, di un autore che spesso ha parlato del suo rapporto con i libri, ossia Walter Benjamin, critico, traduttore e filosofo tedesco. Nel suo libretto intitolato La mia biblioteca ( scritto nel 1931, durante un trasloco ) indaga la magia della lettura.
Gloria Canestrini, dicembre 2025
Autore: Gloria Canestrini
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