
Binge eating, una dipendenza silenziosa
Quando il cibo smette di essere nutrimento: la fame emotiva
(foto depositphotos.com) - La fame emotiva è il bisogno di riempire un vuoto e la trappola del comportamento compulsivo. C’è chi apre il frigorifero anche se ha appena finito di mangiare. Chi nasconde snack nel cassetto del comodino, per poi divorarseli in solitudine, magari la notte, con la TV accesa e la testa altrove. Chi sente un nodo dentro, e l’unico modo per scioglierlo sembra essere quel pacchetto di biscotti, uno dopo l’altro, senza pensare, senza sentire. Ed è molto più diffuso, e meno riconosciuto, di quanto si creda.
Questo è il disturbo da alimentazione incontrollata (binge eating) è una vera e propria dipendenza. Solo che, al posto di una sostanza, c’è il cibo. Ma la dinamica è la stessa: perdita di controllo, sollievo temporaneo, senso di colpa, e poi di nuovo il bisogno. Un ciclo che si ripete, spesso in silenzio, spesso nella vergogna.
Quando il cibo smette di essere nutrimento
La verità è che non si tratta di fame. Non è il corpo che chiede. È la mente. O meglio, è un bisogno emotivo, una richiesta di conforto. Il cibo diventa un rifugio, una coperta calda contro l’ansia, la tristezza, la solitudine. Ma è una coperta che stringe troppo, che soffoca, e che lascia addosso un senso di fallimento.
Le persone che soffrono di binge eating spesso non lo raccontano. Non sembrano avere "problemi evidenti", eppure combattono ogni giorno con il senso di inadeguatezza e con una relazione dolorosa con il proprio corpo. Il binge eating non è solo “mangiare troppo”. È l'incapacità di fermarsi, la compulsione, il vuoto che si cerca di colmare.
Dipendenza comportamentale: il binge eating come fuga
Come nel caso della dipendenza da internet, anche qui ci troviamo di fronte a un comportamento ripetitivo e disfunzionale, che ha la funzione di anestetizzare emozioni troppo intense o difficili da affrontare. Il cervello, in questi casi, si abitua alla scarica di dopamina che arriva con l’abbuffata, come succede con il gioco d’azzardo, i social o la pornografia. Non importa cosa si consuma: importa la sensazione di sollievo che arriva subito dopo.
E poi? Poi arriva il buio. La vergogna, la frustrazione, il disprezzo verso sé stessi. E quel senso di essere “rotti”, diversi, senza speranza. Ma non è così. Il binge eating è un disturbo psicologico, non una questione di volontà debole. E come tale può, e deve, essere affrontato con il giusto supporto.
Chi è più a rischio?
Il disturbo colpisce persone di ogni età e genere, ma secondo le ultime ricerche, le donne sono maggiormente esposte, soprattutto tra i 20 e i 40 anni. L’insoddisfazione corporea, i traumi pregressi, una bassa autostima e l’educazione alimentare disfunzionale sono tutti fattori di rischio. E spesso, come per altri disturbi alimentari, il binge eating non si presenta da solo: può essere accompagnato da ansia, depressione o disturbi dell’immagine corporea.
Ecco perché è fondamentale smettere di considerarlo un “vizio” o una mancanza di disciplina. È una sofferenza vera, profonda, che merita attenzione e comprensione.
Uscire dal ciclo: è possibile?
Sì. Ma serve un approccio che non giudichi, che accolga. La psicoterapia cognitivo-comportamentale è tra i trattamenti più efficaci, insieme a percorsi di consapevolezza alimentare e, in alcuni casi, al supporto farmacologico. Fondamentale è imparare a riconoscere le emozioni, dare loro un nome, affrontarle senza affogarle nel cibo.
Anche parlare con chi ci sta vicino, rompere il silenzio, può fare una differenza enorme. Perché il binge eating è un disturbo che si nutre dell’isolamento. E combatterlo significa, prima di tutto, tornare a sentirsi parte di qualcosa, tornare a casa, dentro sé stessi.
Se tu o qualcuno che conosci vive questa difficoltà, sappi che non sei solo. Parlane con uno psicologo, o cerca un centro specializzato.
Capire è già un primo passo verso il cambiamento.
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