
In difesa ...dei difensori
Raggio Verde - di Gloria Canestrini
di Gloria Canestrini - In difesa...dei difensori. In questa torrida estate intervallata da acquazzoni, nubifragi e trombe marine, si moltiplicano le petizioni, le richieste di intervento, le mobilitazioni indirizzate sia ai cittadini che alla politica e agli amministratori , in una sorta di presa di coscienza collettiva delle criticità ambientali.
Ciò che caratterizza queste iniziative, sparse in tutta la nostra penisola, è la concretezza: vengono infatti invocate misure adeguate per la tutela del verde urbano, per il freno urbanistico alla proliferazione edificatoria, per il monitoraggio e la rilevazione degli inquinanti, par la salute pubblica, per la salvaguardia delle acque, della flora e della fauna selvatiche, per la difesa del paesaggio, il tutto legato a fenomeni e problematiche specifiche che interessano gran parte dei nostri territori. Nessuna pretesa ideologica o concettuale, quindi, ma segnali volti alla divulgazione di informazioni approfondite, circostanziate, utili a tutti.
Ciò nonostante, sembra che queste voci a difesa del bene comune vengano spesso interpretate, da chi dovrebbe invece raccoglierle e farne tesoro, come illegittima interferenza nella gestione amministrativa, se non addirittura come ostacoli alla pianificazione territoriale.
Già, ma a che criteri obbediscono le scelte in tale ambito da parte della pubblica amministrazione, e quale, allora, la sua responsabilità, posto che un danno ambientale sia per omissione che per inopportuna attività può essere arrecato da chiunque, sia esso soggetto privato che pubblico?
Con l'articolo 18 della legge 349 del 1986, quella che per intenderci istituiva il Ministero dell'Ambiente, è stata introdotta una tutela giurisdizionale del bene ambiente ( considerato nella sua globalità come insieme di elementi che costituiscono il contesto in cui vivono gli esseri umani) mediante la creazione di un'azione per il risarcimento del danno.
La normativa si è successivamente evoluta e ampliata con l'entrata in vigore del decreto legislativo 152 del 2006, identificato come Codice Ambientale, dato il suo intento di raggruppare in un'unica norma, in modo organico e completo, tutta la disciplina ambientale.
Una spinta a questa novazione della disciplina è stata indubbiamente la direttiva comunitaria 35 del 2004 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione dei danni all'ambiente.
La giurista di impresa Michela Richiedei, nel suo importante studio sulla responsabilità della pubblica amministrazione per danno ambientale, così scrive: “ Lo Stato è soggetto principale in caso di danno ambientale, in quanto unico legittimato a proporne l'azione per il risarcimento. Lo Stato però non è solo titolare dell'azione ma può essere egli stesso, nello svolgimento della sua attività, responsabile di danno all'ambiente. La compromissione dell'ambiente può derivare dalla realizzazione di opere pubbliche oppure da attività che, pur non avendo incidenza immediata, sono conseguenza del potere autorizzatorio e di controllo esercitato dall'ente pubblico sulle attività private.”
Vien da chiedersi cos'è, allora, un danno ambientale?
Così lo definisce l'articolo 300 del Codice Ambientale cui accennavo prima: “ Qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell'utilità assicurata da quest'ultima”.
Nel caso della pubblica amministrazione bisogna quindi riferire questa responsabilità all'ente stesso e non al dipendente che lo ha commesso, persona attraverso cui opera, legata da un rapporto di servizio. Principio giuridico fondamentale, perchè troppe volte abbiamo visto il dipendente o il quadro intermedio utilizzati come capri espiatori!
La giurisprudenza naturalmente ha circoscritto (si fa per dire, vista la vastità della materia) la responsabilità diretta della pubblica amministrazione a fattispecie che vedano i suoi dipendenti porre in essere operazioni riferibili all'attività dell'ente stesso, anche nel caso in cui agiscano senza specifiche direttive da parte dei superiori.
Perché è tanto importante definire i confini dell'attribuzione di responsabilità? Perché, in tal caso, il colpevole è obbligato al risarcimento, che funge da giusta compensazione del danno patito, sia nel caso di monetizzazione che in quello di riparazione ossia di riduzione in pristino, ma anche da deterrente.
Vi è una molteplicità di azioni volte all'attribuzione di responsabilità in campo ambientale, primi fra tutti i procedimenti amministrativi, i provvedimenti di riparazione, di ripristino, di risarcimento per equivalente e in forma specifica, le istanze in autotutela, i ricorsi in opposizione, i ricorsi civili, la procedura di infrazione, solo per citarne alcuni, e, infine, gli esposti penali, qualora ricorrano gli estremi di condotte penalmente rilevanti connesse con le conseguenze dannose.
Sempre più spesso, le Associazioni, i Comitati, e anche singoli cittadini che si ritengono lesi, sono costretti a ricorrere a queste azioni, essendo per lo più inascoltate altre forme di tutela dal basso dei territori, in primis le istanze presentate dalle minoranze negli organi di governo territoriali quali Consigli comunali , provinciali e regionali.
A supporto di queste iniziative, sono sorte via via nel tempo alcune associazioni di giuristi che operano attivamente, inoltrando richieste di accesso agli atti, oppure istanze in autotutela amministrativa, ricorsi, provvedimenti d'urgenza e azioni penali ( comprese le segnalazioni ai Carabinieri del nucleo Ambientale), come ad esempio il Gruppo d'Intervento Giuridico con sede in Sardegna e che si muove sul territorio nazionale, il Gruppo di Ricerca penalistico di AmbienteDiritto, e il Gruppo Giuridico Ambiente, che ha sede a Rovereto, in Trentino.
Di questo parleremo ancora, anche su indicazioni e domande specifiche poste dai gentili lettori di questa rubrica.
Gloria Canestrini
Autore: Gloria Canestrini
www.giornalesentire.it - riproduzione riservata*
Commenti (0)
Per lasciare un commento