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Un pianeta chiamato Gabriel Garcia Marquez

L'inventore di Macondo ricordato a Bormio

“Il colonnello Aureliano Buendía promosse trentadue sollevazioni armate e le perse tutte”.
Quando nel 1967 apparve il romanzo di Gabriel García Márquez ''Cent’anni di solitudine'', il suo principale protagonista, il leggendario colonnello Aureliano Buendía, moderno Don Chisciotte che insegue senza sosta tutti i suoi sogni e le sue chimere a dispetto della realtà, divenne subito l’eroe eponimo di una generazione smaniosa di sogno e di utopia, e Macondo, il fantasioso, tragico e vitalissimo universo che fa da sfondo alla saga patriarcale della famiglia Buendía, la duplicazione utopica del mondo reale.

Per tutti Gabriel García Márquez, col suo sorriso bonario e i tratti marcati del suo volto sudamericano, divenne il familiare Gabo, che avrebbe da allora nutrito l’immaginazione letteraria di intere generazioni.

Era la soledad, la solitudine della Colombia e di tutta l’America latina quella che Márquez metteva in rilievo nel romanzo, come avrebbe detto lui stesso, ma i giovani vi lessero subito la propria solitudine in un mondo in vorticosa trasformazione e, con essa, la forza vitale del sogno e dell’utopia che non si arrende di fronte alle sconfitte.

Il romanzo, apparso subito in Italia nel 1968 da Feltrinelli nella magistrale versione di Enrico Cicogna, fu presto tradotto in tutto il mondo, e quando nel 1982 per Gabo arrivò anche il Nobel, la sua opera era già un mito per milioni di lettori in ogni parte del globo. 

A quarant’anni esatti dal Nobel a Gabriel Garcia Marquez, la Banca Popolare di Sondrio, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Bormio, ha dedicato un'intera serata  a “Gabriel García Márquez, Cent’anni di solitudine”, l’ottavo incontro coi “Nobel della letteratura”, annualmente organizzato a Bormio con la regia  di Federico Andreotti e la voce calda e intensa di Christian Poggioni e accompagnamento musicale al violoncello di Irene Solinas.

«Ci tenevamo particolarmente a questo evento - dice Mario Alberto Pedranzini, consigliere delegato della Bps - perché Márquez si impegnò per tutta la vita per il riscatto dell’America latina e perché, come disse nel suo discorso a Stoccolma ricevendo il Nobel, “stirpi condannate a cent’anni di solitudine abbiano finalmente e per sempre una seconda opportunità sulla Terra”».

 

«Era ancora troppo giovane – afferma il narratore de L’amore ai tempi del colera riferendosi a Juvenal Urbino - per sapere che la memoria del cuore elimina i cattivi ricordi e magnifica quelli buoni, e che grazie a quest’artificio riusciamo a sopportare il passato».

«Gabriel García Márquez - dice Patrizia Spinato - rappresenta magistralmente nell’immaginario dei lettori il nuovo romanzo ispano-americano, perché nella sua narrativa, come spiega bene la motivazione stessa del Nobel, il fantastico e il realistico si combinano in un lussureggiante mondo immaginario che riflette la vita del continente sudamericano, ma che dà vita, al contempo, a un universo proprio, quello che circonda Macondo, che nasce dalla sua memoria infantile e da questa trae gran parte della sua dimensione fiabesca. In questo mondo è forse la morte a dominare la scena, sebbene il sentimento tragico della vita che lo alimenta esprima al tempo stesso una forza vitale terrificante ed edificante di tutto ciò che è vivo e reale».

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