
David Grossman: ''Israele sta cadendo nell'abisso''
''A Gaza è un genocidio, mi si spezza il cuore ma adesso devo dirlo''
15 Agosto 2025 - "Israele sta cadendo nell'abisso" . David Grossman scrittore israeliano, lo aveva detto dalle colonne del New York Times nel marzo 2024 intervenendo sulle stragi di Netanyahu con paroe che all'apoca sembrarono però troppo morbide e piee di quel diritto ad esistere che giustifica Israele ad uccidere i bambini.
E venne agosto 2025: “A Gaza è un genocidio, mi si spezza il cuore ma adesso devo dirlo. Per molti anni mi sono rifiutato di utilizzare questa parola. Ora però, dopo le immagini che ho visto, quello che ho letto e ciò che ho ascoltato da persone che sono state lì, non posso trattenermi dall’usarla.” E' Repubblica questa volta a dare spazio alla sua constatazione.
Insomma: ha fatto fatica dirlo, ma l'ha detto. David Grossman, considerato tra i più grandi romanzieri contemporanei ci è arrivato con vari mesi di ritardo, ma l'affermazione è comunque importante perché, volenti o nolenti, un personaggio celebre impatta notevolmente sull'opinione pubblica. Ogni voce è importante, soprattutto se famosa.
L'intervento pubblicato sul NYT nel marzo 2024 aveva suscitato diverse critiche. Ecco perchè.
Lo scrittore partiva ovviamente dal dolore dell'attacco perpetrato da Hamas. Grossman citava la vulgata: gli stupri di massa di Hamas (è notorio che questa è una notizia falsa e che la giornalista straniera che l'ha inventata si è pure scusata), e mentre non si sa ancora il numero preciso degli ostaggi (ma lui fa il numero di 146), sorvola sul resto. Grossman scrive (è lui stesso ad annotarlo) mentre i dati del Ministero della Sanità di Gaza parlano di 30.000 palestinesi uccisi nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre. Ma nel citarli afferma che tale Ministero è in mano ad Hamas: come dire ''numeri tutti da verificare''.
Lo scrittore affermava di aver parlato con persone ebree che vivono fuori da Israele e che si sono sentite vulnerabili come entità ''statuale''. Lo choc derivava dall'attacco subito: nulla di nuovo se detto da israeliani. Lo Stato viene anzittutto.
''Mentre l'esercito iniziava a contrattaccare - scrive Grossman - la società civile si stava già arruolando in massa nelle operazioni di soccorso e logistiche, con molte migliaia di cittadini che si offrivano volontari per fare ciò che il governo avrebbe dovuto fare se non fosse stato in uno stato di paralisi incosciente''.
Il dettaglio qui è interessate: ''un governo in uno stato di paralisi incosciente'' afferma lo scrittore.
Tra queste vittime ricorda i molti bambini, donne e civili, molti dei quali non erano membri di Hamas e non hanno avuto alcun ruolo nel ciclo della guerra. Ma non pare ci sia spazio per dar fiato al dolore universale, come ci si aspetterrebbe dalla sua penna, bensì ''...alla paura, lo shock, la furia, il dolore, l'umiliazione e la vendetta, le energie mentali di un'intera nazione''. La sua.
Grossman poi ricorda che prima del 7 ottobre la società israeliana stava manifestando cntro il governo di Benjamin Netanyahu per i provvedimenti legislativi volti a indebolire fortemente l'autorità della Corte Suprema, infliggendo così un colpo mortale al carattere democratico di Israele.
''Centinaia di migliaia di cittadini sono scesi in piazza ogni settimana, tutti quei mesi fa, per protestare contro il piano del governo. Attualmente, temo che Israele sia più una fortezza che una casa. Non offre né sicurezza né agio, e i miei vicini nutrono molti dubbi e richieste sulle sue stanze e sulle sue mura e, in alcuni casi, sulla sua stessa esistenza. In quel terribile sabato nero, è emerso che non solo Israele è ancora lontano dall'essere una casa nel senso pieno del termine, ma non sa nemmeno come essere una vera fortezza''.
E poi lo sguardo dello scrittore sugli arruolamenti volontari. ''In tutto il mondo, i soldati della riserva sono saliti sugli aerei per raggiungere i loro compagni già chiamati alle armi. Andavano "a proteggere la nostra casa", come dicevano spesso nelle interviste. C'era qualcosa di commovente in questa storia unica: questi giovani uomini e donne si sono precipitati al fronte dai confini del mondo per proteggere i loro genitori e nonni. Ed erano pronti a dare la vita. Gli israeliani della mia generazione, che hanno vissuto molte guerre, si stanno già chiedendo perché questa unità emerge solo nei momenti di crisi? Perché solo le minacce e i pericoli ci rendono coesi e fanno emergere il meglio di noi, e ci sottraggono anche alla nostra strana attrazione per l'autodistruzione, per la distruzione della nostra stessa casa?''. Verrebbe da rispondere: perchè è naturale. Sempliciotto, ma vero.
E poi Grossman deve introdurre il mantra del ''diritto ad esistere''. E così parla della condizione ebraica: sentirsi sempre una nazione perseguitata e non protetta. ''Una nazione che, nonostante i suoi enormi successi in tanti campi, è ancora, nel profondo, una nazione di rifugiati, permeata dalla prospettiva di essere sradicata anche dopo quasi 76 anni di sovranità. Oggi è più chiaro che mai che dovremo sempre vigilare su questa casa fragile e penetrabile. È stato chiarito quanto sia radicato l'odio di questa nazione''.
E la Palestina? I morti innocenti? Il recinto in cui vive da decenni? Le aggressioni dei coloni ad Hebron dove un'intera città viene quotidiamanente umiliata? E che dire di quei politici israeliani che parlano di soluzione finale, di allagare i tunnel per ''prendere i palestinesi come topi'' ? Non ha nulla da dire il grande Grossman?
Che delusione: la sua riflessione arriva a parlare di due popoli martoriati ma per chiudere il tutto in poche righe. Queste: ''...il trauma di diventare rifugiati è fondamentale e primordiale sia per gli israeliani che per i palestinesi, eppure nessuna delle due parti è in grado di guardare alla tragedia dell'altra con un briciolo di comprensione, per non parlare di compassione. Un altro fenomeno vergognoso è emerso a seguito della guerra: Israele è il Paese al mondo di cui si chiede più apertamente l'eliminazione.''
E i discorso prende subito il largo: i campus delle università più rispettate, i social media e nelle moschee di tutto il mondo, dove il diritto all'esistenza di Israele viene spesso contestato. E qui lo stupore diventa vero sconcerto: Grossman cede al piagnisteo. ''....Quando Saddam Hussein uccise migliaia di curdi con armi chimiche, non ci furono appelli a demolire l'Iraq, a cancellarlo dalla faccia della terra. Solo quando si tratta di Israele è accettabile chiedere pubblicamente l'eliminazione di uno Stato. È nauseante pensare che questo odio omicida sia rivolto esclusivamente a un popolo che meno di un secolo fa era stato quasi sradicato''.
Poi si capisce che deve chiudere il raccontino e allora approda a qualche sincera domanda: "Chi saremo - israeliani e palestinesi - quando questa lunga e crudele guerra avrà fine? Non solo il ricordo delle atrocità inflitte l'uno all'altro ci separerà per molti anni, ma anche, come è chiaro a tutti noi, non appena Hamas ne avrà la possibilità, metterà rapidamente in atto l'obiettivo chiaramente indicato nel suo statuto originale: il dovere religioso di distruggere Israele. Come possiamo quindi firmare un trattato di pace con un tale nemico? Eppure, che scelta abbiamo? I palestinesi faranno i conti da soli. Come israeliano mi chiedo che tipo di persone saremo quando la guerra finirà. Dove indirizzeremo il nostro senso di colpa - se saremo abbastanza coraggiosi da provarlo - per ciò che abbiamo inflitto a palestinesi innocenti? Per le migliaia di bambini che abbiamo ucciso. Per le famiglie che abbiamo distrutto''.
E ancora. ''Quale prezzo pagheremo per vivere in costante vigilanza e sospetto, in perenne paura? Chi di noi deciderà che non vuole - o non può - vivere la vita di un eterno soldato, di uno spartano? Chi resterà qui in Israele e quelli che resteranno saranno i più estremi, i più fanaticamente religiosi, nazionalisti, razzisti? Siamo condannati a guardare, paralizzati, mentre l'audacia, la creatività, l'unicità di Israele viene gradualmente assorbita nella tragica ferita dell'ebraismo?Queste domande probabilmente accompagneranno Israele per anni. Esiste, tuttavia, la possibilità che una realtà radicalmente diversa sorga per contrastarle. Forse il riconoscimento che questa guerra non può essere vinta e, inoltre, che non possiamo sostenere l'occupazione all'infinito, costringerà entrambe le parti ad accettare una soluzione a due Stati che, nonostante i suoi svantaggi e i suoi rischi (primo fra tutti, che Hamas prenda il controllo della Palestina in un'elezione democratica), è ancora l'unica praticabile?''.
Infine un invito a fare diplomazia. ''I Paesi coinvolti nel conflitto non vedono che israeliani e palestinesi non sono più in grado di salvarsi da soli? I prossimi mesi determineranno il destino di due popoli''. Ma di strage in strage si è solo visto un aggressore: Israele.
Come sono lontani i tempi in cui conquistava i suoi lettori per la semplicità e la bellezza dei sentimenti che narrava. "Solo conoscendo l'altro non possiamo più rinnegarlo o fare come se non esistesse lui, la sua storia, la sua sofferenza. E saremo anche più indulgenti verso i suoi errori" scriveva. Spiegava che Palestinesi e Israeliani non sono nè troppo diversi tra loro nè troppo uguali? "Sono simili, molto più simili di quanto si pensi". Sono due popoli che si cercano, si sforzano di convivere ma sono i governi a non fare... l'unica cosa da fare. "Guardarsi negli occhi e dialogare".
"La pace è un obiettivo infinito, mai compiuto del tutto" ci disse lo scrittore quando lo avevamo incontrato a Riva del Garda per una lunga intervista.
Gli avevamo chiesto di immaginarsi primo ministro: quale sarebbe la prima cosa da fare? Lui rispose: "Preferirei non esserlo ho di meglio da fare''. Ci aspettavamo rispondesse: la Pace.
Allora gli avevamo ricordato il titolo di un suo programma tv degli esordi: si intitolava "Stutz" cioè "può accadere". Gli abbiamo quindi chiesto cosa deve accadere perché Israele conquisti la pace e lui ci ha risposto "Stranamente siamo sempre molto vicini e molto distanti dalla pace. Ma la pace verrà dalle donne: loro sono attaccate alla vita, al sangue, ai figli".
Leggi la nostra intervista realizzata a Riva del Garda nel 2007 > qui
www.giornalesentire.it - riproduzione riservata*
Commenti (0)
Per lasciare un commento