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Albert Camus: la magnifica grandezza della umiltà

L'importanza di un buon maestro

di Corona Perer - Ricordarsi da dove veniamo. Ricordarsi chi siamo stati. Ricordarsi a cosa e a "Chi" dobbiamo una certa passione.

La  lettera che Albert Camus, Premio Nobel per la Letteratura, scrisse al suo maestro elementare, per dirgli "grazie" è una pietra miliare. E' quella che io definisco la magnifica grandezza dell'umiltà. Se vogliamo l'elogio della franchezza, della semplicità. Dà voce alla domanda: "A chi debbo ciò che sono?" è quindi esercizio di gratitudine.

Ho  sempre portato nel mio cuore la professoressa di italiano, si chiamava Bianca Maria Anselmi, che a casa mi faceva piangere sui compiti di analisi logica. Ero in prima media e a scuola non andavo per nulla bene. Quando mi resi conto che a forza di non-studiare avrei fatto un anno in più, e non un anno in meno, giacchè la mia famiglia non mi avrebbe mai permesso di abbandonare la scuola (...quale desiderio!), mi misi a studiare di brutto.

L'analisi logica era difficile, altrettanto l'analisi del periodo, e non capivo a cosa servissero. Ma finalmente mi entrò in testa e divenne un gioco meraviglioso che al liceo mi servì per cercare la chiusura di una frase, costruirla bene, compiutamente. Vederne la magnifica architettura sul contrappunto del latino. Ancora oggi ascoltando qualcuno che parla male dico: e la principale? Non ha chiuso il discorso. 

Dovevo tutto a lei. Quando la prof. Anselmi arrivava in classe, ci colpiva la raffinata eleganza. Aveva borse meravigliose, le apriva con grazia nel silenzio generale per estrarre le penne: per prima usciva la rossa, poi la blu. E poi la matita: da una parte rossa, dall'altra blu. Quella era la più temuta. Ci insegnava la grammatica con un amore e un rigore esemplare ed il giorno in cui, tornati dalle vacanze di Pasqua, consegnandoci i compiti corretti mi riservò un pensiero speciale  ("Pasqua nuova vita nuova...proprio così: brava Coronella"), io iniziai il mio volo. E mi divertii a diventare la prima della classe. Mi aveva dato lei la spinta giusta.

Anni dopo le scrissi ringraziandola: l'analisi logica, l'analisi del periodo, l'attenzione alle ripetizioni e le decine e decine di riassunti che ci aveva fatto fare nei compiti a casa, mi erano stati utili come giornalista. Avevo imparato la sintesi.
Ecco perchè leggendo questa lettera che Albert Camus inviò al maestro delle elementari, nel novembre del 1957, mi sono commossa. Perchè se alla prof. di italiano dovevo la passione, a chi mi insegnò a tenere la penna in mano, la meravigliosa e terrribile maestra Carlotta Sebben, dovevo ancora di più. Ricordo di averle sempre portato stima e simpatia, sempre unite a un residuo di terrore (che in realtà era solo rispetto), ma forse non l'ho mai ringraziata per avermi portato ad amare la parola. Allora si scriveva col pennino intingendo nel calamaio (di lì a poco, erano gli anni '60, arriverà la BIC). Ricordo che di certo amavo la parola bella e ben scritta: la carta assorbente che serviva per una macchia e che si trovava di solito nell'ultima pagina di un quaderno Pigna era la soluzione allo sfregio della pagina.

Ecco allora, che di fronte a questa lettera di un ex-bambino, destinato a prendere il premio Nobel per la letteratura, che ringrazia il maestro possiamo  compiere un esercizio sempre utile: ci ricordiamo da dove veniamo? 
Ci ricordiamo chi siamo stati? A chi dobbiamo una certa passione?
 


Autore: Corona Perer

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