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L'invenzione del colpevole: il caso del Simonino

Mostra tra fake-news e calunnia al Museo Diocesano di Trento

L'invenzione del colpevole, è la mostra che è stata dedicato alla vicenda di Simonino da Trento, un bambino presunta vittima di omicidio rituale ebraico, venerato per secoli come 'martire' innocente.

La mostra allestita presso il Museo Diocesano Tridentino ripercorre le tappe di questo emblematico episodio risalente al 1475, mettendo in evidenza i meccanismi di costruzione del ‘nemico' e il potere della propaganda.

Se si va allo Yad Washem di Gerusalemme, il celebre e toccante museo dell'Olocausto, una delle prime immagini che si incontra nel percorso storico che tenta di ricostruire l'origine dell'odio contro gli ebrei, è quella del Beato Simonino da Trento. Perchè fu il caso emblematico che portò a radicare l'idea contorta di un popolo che friggeva ostie in padella e usava il sangue dei bambini per riti sacrificali. In realtà quello del Simonino era stato un tragico caso di cronaca.

La mostra è dedicata al 'caso' di Simonino da Trento, un bambino presunta vittima di omicidio rituale ebraico, venerato per secoli come 'martire' innocente. Il bimbo fu invece  ucciso,  un orrore che accade anche ai nostri giorni. Ma se da un lato quel caso aggiunse motivi di odio verso gli Ebrei, dall'altro originò anche un culto infondato, ovvero strumentalmente indotto.

La vicenda, risalente al XV secolo, si potrebbe oggi definire una clamorosa fake news del passato, nella quale si intrecciano sentimenti antiebraici, esigenze devozionali e ambizioni di politica ecclesiastica. L'esposizione intende richiamare l'attenzione del pubblico su una delle pagine più oscure dell'antisemitismo, per stimolare la riflessione sui meccanismi di ‘costruzione del nemico' e sul potere della propaganda.

Tutto accade nella Trento del 1475: era il 23 marzo, giovedì santo. Simone, un bambino di circa due anni, scompare misteriosamente tra i vicoli dell'antica città alpina. Il giorno di Pasqua il suo corpo senza vita viene ritrovato nei pressi della casa di Samuele, uno dei maggiori esponenti della piccola comunità ebraica locale. Ritenuti responsabili del rapimento e dell’omicidio del bambino, gli ebrei sono subito incarcerati, processati e, sulla base di confessioni estorte con la tortura, condannati a morte. L’accusa si fondava sulla credenza, o leggenda, che gli ebrei compissero sacrifici rituali di fanciulli cristiani con lo scopo di reiterare la crocifissione di Gesù, servendosi del sangue della vittima per scopi magici e religiosi. Il piccolo Simone (detto il 'Simonino') viene subito considerato un martire e diventa oggetto di un culto intenso, che papa Sisto IV proibisce, inutilmente, sotto pena di scomunica.

La prudenza e i dubbi della Chiesa non riescono infatti ad opporsi ad una venerazione tributata per via di fatto e costruita utilizzando due potenti mezzi di comunicazione: le immagini e il nuovissimo strumento della stampa tipografica. Grazie alla macchina della propaganda, abilmente orchestrata dal principe vescovo di Trento Johannes Hinderbach, vero regista dell'intera operazione, il culto di Simonino si diffonde rapidamente, riuscendo a imporsi come prototipo di tutti i presunti omicidi rituali dei secoli a seguire.

Solo nel Novecento la rilettura critica delle fonti ha ristabilito la verità storica, dimostrando l’infondatezza delle accuse di omicidio rituale rivolte agli ebrei, maturate in un clima di radicati pregiudizi antigiudaici.

Sulla base di questi studi la Chiesa, negli anni del Concilio Vaticano II, ha deciso di abrogare il culto del Simonino il 28 ottobre 1965. L'esposizione è stata ideata in omaggio a mons. Iginio Rogger (1919-2014), già direttore del Museo Diocesano Tridentino e coraggioso protagonista della storica revisione del culto di Simonino, di cui nel 2019 ricorreva il centenario dalla nascita.

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