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Il destino di Aghavnì

L'ultimo libro di Antonia Arslan, una perla

di Corona Perer - E' un bel giorno di primavera quando Aghavnì e Alfred, giovani genitori di Zabel e Garò, escono dalla loro ricca dimora per una passeggiata. Non faranno mai più ritorno.
Dalla storia di queste quattro vite spezzate dall'odio verso gli Armeni, prende corpo il piccolo, lieve e magistrale racconto di Antonia Arslan scrittrice alla quale molto dobbiamo: fu lei a portare alla ribalta del grande pubblico il primo e il più negato dei genocidi, quello contro gli Armeni. Una strage che accadde ben prima dello sterminio  Ebraico nei campi nazisti.

Motore del racconto una fotografia che l'Autrice ritrova a casa di un cugino in America. «Circa 4 anni fa ho conosciuto un mio cugino che vive a Manchester, New Hampshire. Mi ha mostrato carte e foto di famiglia, fra cui una foto – del 1912 – di 3 sorelle di mio nonno, sorridenti e con vestiti uguali. Due le conoscevo, della terza mi disse: ‘Questa è Aghavnì’, la sorella scomparsa’. Non sapevo che fosse esistita! Quella foto ha lavorato dentro di me per tutto questo tempo, finché lo scorso agosto il personaggio e la sua storia – simile a tante altre storie femminili di quei terribili anni – ha preso forza e consistenza. Il coraggio e lo spirito indomito delle donne armene sono uno dei cardini su cui ruota questo romanzo breve. Questa storia non è ‘vera’, ma è molto verosimile» spiega l'autrice.

''Il destino di Aghavnì'' (edizioni Ares) è uno struggente racconto di dolore e coraggio, morte e rinascita.

E' la primavera del 1915 e siamo in una piccola città nel cuore dell’Anatolia. Una piccola famigliola esce di casa e di loro sparisce ogni traccia. Uccisi o rapiti? Vengono dai parenti cercati inizialmente, ma  poi...dimenticati. Il cuore della narrazione insiste nel recinto dove sono stati "catapultati'' e costretti. Il giovane marito di Avghanì in un tentativo di fuga, morirà al termine di una folle corsa a cavallo nel bosco nell'illusione di farcela. Il figlio maschio finirà guardiano delle pecore, lei e la bimba si adatteranno al recinto del villaggio.

Dolore, solitudine, ma anche orgoglio, smarrimento, rabbia, nostalgia aleggiano in ogni riga. La sapiente maestria descrittiva di Antonia Arslan rende però tutto lieve, nobile, persino avvicente. Il racconto si legge tutto d'un fiato, tuttalpiù in due riprese: per farselo bastare. E' letteratura piena, amara, umana... sangue che si fa inchiostro di pagina in pagina. E ciò nonostante la storia approda ad un cielo terso: uno squarcio di speranza che rivela il senso dell'esistenza nelle piccole cose.

 

C'è la dignità, c'è la rassegnazione, ma c'è soprattutto una fede antica che - per quanto costretta e tacitata - culmina in uno strano Natale in cui accade che nella fontana - dove è stato allestito il piccolo e rudimentale presepe - gli occhi di boia e vittima si incontrano in una scintilla, un lampo che è parte del mistero della natura umana. Boia e vittima, così lontani, sono vicini, provano forse persino la stessa nostalgia. Quella di un Natale pulito che profuma di buono, carezze e dolcezze.

Accade infatti che Osman il ricco e spietato rapitore della famiglia, si intenerisca alla vita del presepe che Aghavnì ha costruito con l'aiuto di un altro confinato armeno, nel tentativo di celebrare, in un Natale tragico, una tradizione che significa non solo fede ma anche volontà di sopravvivenza. Il destino di Aghavnì si compie dunque di fronte ad una piccola natività che è metafora di resistenza, di rinascita. Ha vinto lo spirito indomito delle donne armene: finirono schiave  in famiglie turche, curde, e arabe, fu loro negato di ricordare chi fossero, condannate a resistere nonostante il dolore le squarciasse.

Di loro sappiamo proprio grazie ad Antonia Arslan, una delle più amate scrittrici italiane, con opere tradotte in tutto il mondo che con questo racconto ci regala una delle sue perle.

Nata a Padova, da padre armeno e madre italiana, ha insegnato Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Padova. È autrice di saggi e romanzi sul genocidio degli armeni in Anatolia nel 1915, tra cui il famosissimo ''La masseria delle allodole'' premio Stresa di narrativa, il Premio dei Lettori di Lucca e poi finalista del Premio Campiello, portato sul grande schermo dai fratelli Taviani. Altre sue opere sono La strada di Smirne (2009), Il libro di Mush (2012-2022) e La bellezza sia con te (2020) e molte altre opere dove autobiografia e romanzo danno corpo a storie di grande umanità.

 


Autore: Corona Perer

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