Carlo Sartori e la poetica dei semplici
Ha fatto il pastore, il contadino e l'imbianchino. Poi realizza il suo sogno: vivere di pittura
Carlo Sartori e la poetica dei semplici. E' questa la cifra stilistica di un artista del quale si è da poco celebrato il centenario dalla nascita (1921). Carlo Sartori ha fatto il pastore il contadino e l'imbianchino, ha lavorato nel campo ed ha pure conosciuto il campo di concentramento in Austria. Poi ha realizzato il suo sogno: vivere di pittura.
Da pittore affermato si stupiva come un ragazzino di esserci riuscito perchè di tavolozza e pennelli non avrebbe mai potuto farne a meno.
Per celebrare il centenario della nascita del grande pittore trentino, il Comune di Folgaria, in collaborazione con il Mart e la Fondazione Casa Museo Pittore Carlo Sartori gli ha dedicato una bella mostra a Folgaria nell'estate 2021, l'unica iniziativa promossa in Trentino per ricordare il centenario e la parabola umana ed artistica di un artista sempre attratto dai temi del territorio.
Ha narrato da maestro le professioni legate all’economia di montagna, la vita agreste e i tempi della natura con la raccolta delle mele, la fienagione, le professioni artigiane: contadini, pastori, boscaioli, carrettieri, falciatori.
Quarto di 11 figli, padre calzolaio, Carlo Sartori era nato il 27 maggio 1921 a Ranzo di Vezzano. Arrivò in ottima forma alle soglie dei 90 anni. E' morto nel 2010. I nipoti, in primis la nipote Jole ma anche i pronipoti Gemma e Luca, erano impegnati a fare da promoter ed avevano creato per lui un sito che la diceva lunga sulla genuina semplicità d'animo di questo artista: "mi contadin e pitor" c'è scritto nella homepage.
Cresciuto a San Lorenzo in Banale e poi nel Lomaso a Godenzo Poia, lo avevamo incontrato alle Distillerie Marzadro di Rovereto per "Tuning-art" e lì un'intera sala gli era stata dedicata con opere dall'inconfondibile stile, suo tratto distintivo.
Nelle sue opere la poetica della terra, della famiglia, del lavoro duro nei campi, del proletariato sempre esposto ai rischi delle morti bianche. E' la narrazione dei poveri Cristo, sempre pronti ad accorrere con devozione ai piedi della croce del vero Cristo in croce. Un Salvatore a volte vestito con abiti contemporanei, posto al cospetto di una umanità dove tra i devoti si può scorgere anche un carabiniere in uniforme.
Ma è la poetica della famiglia a dominare tra mazzi di fiori coloratissimi (rigorosamente di campo) e i numerosi autoritratti. Carlo Sartori si amava come soggetto artistico, non per vezzo da egocentrista, semmai lui era un uomo in perenne sperimentazione. Sono molto belli e andrebbero studiati i dipinti del periodo "prismatico", dove sembra di assistere alla lezione che Braque e il cubismo avevano esercitato su di lui, che aveva studiato...per corrispondenza.
Colori accesi i suoi, quasi sempre nella gamma del giallo-rosso, anch'essi chiamati ad esprimere quel calore che la gente della terra conosce bene: il sentimento. Nelle figure da lui ritratte, uomini e donne che hanno mani e piedi grossi, polpacci deformi e tratti somatici come fossero stati scolpiti nella pietra. In ogni tela c'è la presenza di una animale (gatto, mucca, scoiattolo, cane o passerotto che sia) e un paesaggio che porta in un metatempo. Una montagna ricorre spesso nei suoi quadri: è quadrata, quasi un totem nel paesaggio, ma non esiste in Trentino e nel Lomaso in particolare.
Una spiegazione forse c'è: la montagna richiama le fattezze dell'Uluru australiano, montagna sacra degli aborigeni. imtoccabile per le popolazioni australiane tanto che è vietato salirci. Cosa avrà voluto dire, allora, Sartori? Se quella fosse davvero una citazione pittorica del monte australiano (che peraltro si erge per soli 400 metri e dunque per un montanaro è più accessibile delle nostre Dolomiti), forse Sartori sta dicendo che la montagna, come la famiglia e la terra sono sacre. E la sua poetica del resto ha cantato proprio questa sacralità contadina, fatta di terra e fatta di paesaggi. La montagna piatta e rossa compare anche all'orizzonte della finestra da dove "Gegia" richiama i suoi a rientrare: la polenta è in tavola. Quella polenta dorata che compare in tanti dei suoi dipinti.
E qui occorre tornare al Sartori bambino, che vive nell'aia, partecipa alla vita della sua comunità (in paese ci si aiutava tutti e lui dipinge anche la solidarietà tra umili). Un bambino che ama disegnare, ma deve anche lavorare. Una passione forte la sua, tanto che la maestra gli faceva illustrare le lezioni di storia e di geografia con ritratti di personaggi storici o cartine geografiche. Ma il piccolo Carlo va a scuola saltuariamente: deve infatti fare il pastore e aiutare in famiglia.
Nel 1939 inizia un corso di disegno per corrispondenza interrotto due anni dopo dalla partenza per il servizio militare, poi la prigionia dal 1943 al 1945 in un campo di concentramento in Austria. Alla fine della guerra riprende il corso di disegno e ne inizia un altro per corrispondenza come artista-decoratore. Si mantiene lavorando nelle campagne come contadino, affrescando capitelli ed interni di abitazioni o realizzando scenografie per compagnie filodrammatiche.
Sartori arriva alle prime mostre negli anni '50 al Circolo della Stampa di Bolzano e a Molveno, ma è nel 1971- su incoraggiamento del pittore Rivano Luigi Pizzini - che smette il lavoro di imbianchino per dedicarsi alla pittura.
L'anno successivo partecipa con due opere alla mostra dei naif di Luzzara presieduta da Cesare Zavattini e il primo importante riconoscimento pubblico arriva nel 1994 con una mostra antologica patrocinata dalla Provincia a Palazzo Trentini.
Nel suo testamento ha chiaramento indicato che la sua casa doveva diventare un museo e che le opere dovevano essere viste da tutti, soprattutto dalla sua gente. Un uomo umile che mai si era montato la testa e che negli ultimi anni espose con artisti emergenti e con altri meno noti.
Quando lo incontrammo per Tuning Art, era con i nipoti, venuti con lui a rimirare le opere nella sala che gli avevano dedicato. "Quella l'ho fatta per coprire un buco" disse indicandone una. E rideva stupito lui per primo di aver potuto realizzare il suo sogno: vivere di pittura.
Il sito > Fondazione Casa Museo Pittore Carlo Sartori
Autore: Corona Perer
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