Arte, Cultura & Spettacoli

Giovanni Segantini, ecco come dipingo

Frammenti autobiografici; il padre del divisionismo svela se stesso

…E sarò felice quel giorno che noi in un eletto drappello, combatteremo uniti contro la volgarità per la bellezza del senso nel colore, per la luce che dà vita alla natura, per la purezza viva e ardente della forma di tutte le cose, che dà all’opere nostre quel armonia ideale dell’anima…”

E’ il padre del Divisionismo a parlare. Giovanni Segantini racconta i segreti del mestiere grazie ad alcuni frammenti autobiografici tratti dal suo epistolario privato. Ecco spiegato il divisionismo:

“..La tela che adopero è preparata a gesso e ad olio; la tiro sul telaio passandoci sopra con un largo pennello, una tinta rossa piuttosto liquida… Stabilite sulla tela le linee esprimenti la mia volontà ideale, procedo alla colorazione, dirò così, sommaria, come preparazione però più vicina alla verità che m’è possibile; e ciò faccio con sottili pennelli piuttosto lunghi, e incomincio a tempestare la mia tela di pennellate sottili, secche e grasse, lasciandovi sempre fra una pennellata e l’altra uno spazio, interstizio, che riempisco coi colori complementari, possibilmente quando il colore fondamentale è ancora fresco, acciocchè il dipinto resti più fuso..”

Sulla tecnica afferma la propria visione:

“…il mescolare i colori sulla tavolozza è una strada che conduce verso il nero; più puri saranno i colori che getteremo sulla tela, meglio condurremo il nostro dipinto verso la luce, l’aria e la verità…la materia deve essere elaborata dal pensiero per salire  a forma d’arte durevole…”

Ma c’è anche la sua vita.

“…Sono più di 14 anni che studio nella natura alpina gli accordi di un’opera alpina composta di suoni e di colori, che contenga in sé le varie armonie dell’alta montagna e le compensi in un’unica intera. Solo chi, come me, ha vissuto interi mesi al di sopra degli alti luminosi pascoli alpini, nei giorni azzurri della primavera…può sentire e comprendere l’alto significato artistico di questi accordi…io credo che l’arte nostra sia incompleta e che rapresenti solo dettgali di bellezza e non l’intera bellezza armonica che vive e che dà vita alla natura. Ecco perché pensai di comporre un’opera grandiosa dove potessi chiudere come in una sintesi tutto il grande sentimento delle armonie alpine e scelsi per tema l’Alta Engandina, come quella che io maggiormente studiai e che è la più varia e ricca di bellezze che io conosca. Qui le giogaie ed i ghiacciai eterni si fondono col verde tenero dei pascoli e col verde cupo delle foreste di abeti, il cielo azzurro si specchia in laghi e laghetti cento volte più azzurri del cielo, i liberi abbondanti pascoli sono dapertutto intersecati da vene di acque cristalline che scendono giù dalle rughe di roccie per tutto rinverdire e rinfrescare al loro passaggio, dapertutto rosseggiano i rododendri e tutto qui è pieno di varie armonie..”

Dai carteggi dell’artista emerge, prepotente, l’anima montana.

“..Arco è per me come un sole interno, la cui luce risplende nel mio cuore…Sono riconosciuto nel mondo come il pittore dell’alta montagna la mia arte è nata e si è svolta a forme maggiori fra l’austera maestà di questi monti. I miei antenati furono montanari e lo spirito delle Alpi è comunicato al mio spirito che subito lo ha compreso e lo ha riprodotto sulle tele...Ciò che rapisce e affascina il mio spirito è l’amore illimitato che provo per la natura…Quando le circostanze mi costringono ad abbandonare la natura e cercarla in mè stesso, sono tormentato da un rimorso di scrupolo continuo ed incessante…” 

“…Giunto in Brianza non mi misi a studiare le mie idee sull’armonia espressiva della colorazione, ma tentai di riprodurre dei sentimenti che provavo, specialmente nelle ore della sera dopo il tramonto, in cui il mio animo si disponeva a soavi melanconie..”.

Era uomo di fede, Segantini.

“…Non cercai mai un Dio fuori di me stesso perché ero persuaso che Dio era in noi e ciascuno di noi ne possedeva e ne poteva acquistare facendo delle opere belle buone e generose…”
Con un fil di voce nel 1899 chiese che il suo letto di morte venisse portato vicino alla finestrella della baita affacciata sulle Alpi. Quella finestra da dove aveva osservato, per poterla raccontare, la meraviglia della natura.

Questi squarci autobiografici sono emersi nella mostra “Giovanni Segantini. Della Natura” promossa dalla Galleria Civica di Arco a cura di Giovanna Nicoletti nel  2008. L’allestimento permise di accostarsi all’anima dell’artista che svelava sé stesso, la sua sensibilità e la sua arte.

Meravigliosa operazione culturale.
(Corona Perer)


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Giovanni Segantini, maestro del ritratto

Giovanni Segantini morì che era ancora giovane e forte, mentre ancora dipingeva. Ad Arco  era nato il 15 gennaio 1858: una peritonite fulminante che non gli diede scampo, dopo una vita non certo facile. Il vero cognome era Segatini: fu  lo stesso pittore a modificarlo.

Di umili natali (la famiglia dove nasce a metà ‘800 si trovava in condizioni economiche precarie) aveva dovuto patire fin da piccolo.

Aveva solo 7 anni quando, alla morte della madre, avvenuta nel 1865, venne mandato dal padre a Milano, in custodia presso la figlia di primo letto Irene. Privato dell’ambito familiare, Segantini visse una triste giovinezza in atteggiamento chiuso e solitario, spesso vagabondo e ai margini della società tanto che nel 1870 venne rinchiuso in un riformatorio.

Dal famigerato  “Marchiondi”, tentò di fuggire quasi subito ma, ripigliato, dovette rimanervi per 4 anni dopo i quali venne affidato al fratellastro Napoleone che se lo porta a BorgoValsugana  e lo impiega come garzone nel proprio laboratorio fotografico a Borgo Valsugana.

E’ il primo contatto che Segantini ha con l’immagine, la prima forma artistica che sperimenta. Nella sua mente scatta subito qualcosa che lo fa tornare a Milano ma questa volta come studente dei corsi serali dell’Accademia di Belle Arti di Brera, che frequenta per quasi tre anni. E’ la bottega di Luigi Tettamanzi, artigiano decoratore, che gli permette di vivere.

Segantini arrotonda insegnando disegno all’istituto “Marchiondi” lo stesso riformatorio dove era stato rinchiuso. All’Accademia di Belle Arti di Brera è Giuseppe Bertini a fargli da maestro. Segantini stringe le prime amicizie negli ambienti artistici cittadini, in primis con Emilio Longoni.

Comincia a dipingere. Le sue opere risentono degli influssi del verismo lombardo. E’ poco più che ventenne quando viene notato nel 1879 all’esposizione nazionale di Brera. La critica lo segnala, e l’artista ottiene i primi riconoscimenti: è di questi anni il legame con Vittore Grubicy, con il quale instaura un rapporto di lavoro e di amicizia che durerà a lungo.

Il primo grande amore di Segantini fu Bice Bugatti, la donna destinata a diventare la compagna di una vita. Si trasferisce in Brianza e lavora grazie al sostegno economico di Grubicy.

In questi anni la sua arte si distacca dalle prime impostazioni accademiche giovanili e tenta una forma espressiva più personale e originale.

Nel 1883 Segantini si vincola in modo definitivo a Grubicy, con il quale sottoscrive un contratto. Lascia l’Italia (è ormai il 1886) e si trasferisce nel cantone dei Grigioni. Si avvicina al movimento divisionista mentre Grubicy così bene che la fama cresce sia in patria che all’estero.

Nel 1889 è all’Italian Exhibition di Londra e collabora alle riviste d’arte. Ormai divisionismo e simbolismo sono le caratteristiche dei suoi quadri che ricorrono all’uso di allegorie e temi mitici. E’ l’ Engadina dove si è trasferito a Maloja, la vera svolta. Qui appaga un desiderio di meditazione personale e scopre il proprio misticismo: la vita è alquanto solitaria ma la natura, potente del paesaggio naturale, maestoso e incontaminato, entra nelle sue opere.

Qui concepisce anche un grandioso e ambizioso progetto:un padiglione sulla Engadina da portare all’Esposizione Universale di Parigi del 1900: una costruzione rotonda del diametro di 70 metri le cui pareti avrebbero dovuto ospitare una gigantesca raffigurazione pittorica del panorama engadinese, lunga 220 metri. Ma i costi troppo elevati e il no degli albergatori engadinesi che dovevano essere i committenti dell’opera portano a ripiegare su un Trittico della Natura (o delle Alpi), che rimane la sua opera più celebre. L’opera tuttavia incontrò l’ostacolo della ignoranza  o della mancanza di sensibilità. Venne infatti rifiutata: l’immagine turistica che i committenti intendevano trasmettere a Parigi, non era quella realizzata da Segantini.

Sarà il tempo ad emettere la vera sentenza e a far entrare queste opere in un apposito capitolo della storia dell’arte. Chissà cosa ci avrebbe ancora regalato se a soli 41 anni non fosse intervenuta una peritonite a fermarlo. Segantini era sullo Schafberg, il monte che domina Pontresina. Era il 28 settembre del 1899 e stava dipingendo quando un letale attacco lo colse.

La morte arrivò sui quei monti incantati che aveva narrato pittoricamente nelle sue opere.

Annie-Paule Quinsac, autrice del catalogo ragionato di Segantini e  Mirella Carbone, direttrice del museo engadinese hanno dedicato nel 2021 una mostra sulla sua attività di ritrattista. «Giovanni Segantini maestro del ritratto»  allestita al Museo Segantini di Saint Moritz, ha avuto il merito di aver indagato per la prima volta, attraverso ventidue opere (sedici dipinti e sei disegni), la carriera di ritrattista di Giovanni Segantini. E quindi non le vedute calde di una stalla o i campi lunghi sui monti dell'Engadina da lui tanto amata, ma l'arte del pittore che ritrae i volti amati e risente ancora dell'atmosfera parigina che aveva caratterizzato gli impressionisti.

«È attraverso gli autoritratti -scrivono le curatrici - che si manifesta in modo ancora più inequivocabile la metamorfosi da specchio a simbolo; la rosa dei sei lavori esposti, i più noti della sua produzione, spazia dal 1879 al 1898, dal primo autoritratto, un’opera realista che rispecchia il fascino dei lineamenti del giovane artista ventenne, fino all’ultimo, che presenta un volto da profeta».

Fra le opere esposte c'era quella del Comune di Arco, l’«Autoritratto all'età di vent'anni», un olio su tela di 35 centimetri per 26 realizzato tra il 1879 e il 1880.
Perchè Segantini amava ritrarre sopratutto se stesso.


Autore: Corona Perer

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