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''Israele usa già il riconoscimento facciale''

Amnesty lancia la campagna 'Ban the scan'

3 maggio 2023 - Quando si parla di riconoscimento facciale e sistemi di sorveglianza il pensiero corre alla Cina. E basta fare una ricerca per immagini per imbattersi subito su fotogrammi riferiti alla società cinese. Quello che non si sa è che questo sistema lo usa da tempo anche Israele. Contro i Palestinesi.

La denuncia arriva da Amnesty International che ha fatto indagini, ricerche, interviste, oggi ha rilasciato un rapporto in cui parla di un vero sistema di Apartheid.

Il rapporto “Apartheid automatizzato” rivela l’uso, ai posti di blocco militari, di un inedito sistema di riconoscimento facciale noto come “Red wolf”.

Vi sono forti prove che il sistema “Red wolf” sia collegato ad altri due sistemi di sorveglianza dell’esercito israeliano, “Wolf pack” e “Blue wolf”.

“Wolf pack” è un grande archivio contenente ogni informazione disponibile sui palestinesi dei Territori occupati: dove vivono, chi sono i loro familiari, se sono ricercati per essere interrogati dalle autorità israeliane. “Blue wolf” è un’applicazione cui le forze israeliane possono accedere attraverso smartphone e tablet, che può immediatamente mostrare le informazioni conservate nell’archivio “Wolf pack”.

 

Quando un palestinese passa attraverso un posto di blocco dove il sistema “Red wolf” è attivo, il suo volto è scansionato a sua insaputa e senza il suo consenso e comparato coi dati biometrici contenuti negli archivi dove sono conservate solo le informazioni sui palestinesi. In questo modo, il sistema “Red wolf” determina se una persona possa oltrepassare il posto di blocco e acquisisce automaticamente ogni nuovo volto scansionato.

Se il sistema informa che nei confronti di una persona esiste un divieto d’ingresso, questa non verrà fatta passare. Il sistema “Red wolf” può anche vietare il passaggio sulla base di altre informazioni riguardante i profili individuali dei palestinesi, ad esempio se una persona è ricercata per essere interrogata o arrestata.

Attraverso le testimonianze del personale militare, Amnesty International ha anche documentato come la sorveglianza dei palestinesi si sia trasformata in un gioco. Ad esempio, due soldati di stanza a Hebron nel 2020 hanno detto che l’applicazione “Blue wolf” genera una classifica del numero dei palestinesi registrati e che i comandanti premiano i battaglioni che hanno raggiunto il punteggio più alto. In questo modo, i soldati israeliani vengono incentivati a tenere i palestinesi sotto costante osservazione.

A seguito dell’accordo del 1997 tra le autorità israeliane e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, la città di Hebron è divisa in due zone, note come H1 e H2.

La zona H1, che costituisce l’80 per cento della città, è amministrata dalle autorità palestinesi. La zona H2, che comprende la Città vecchia, è sotto il pieno controllo delle autorità israeliane: vi vivono circa 33.000 palestinesi insieme a circa 800 coloni israeliani, che risiedono illegalmente in almeno sette insediamenti.

I palestinesi della zona H2 sono sottoposti a durissime limitazioni al loro movimento. Non possono avere accesso a determinate strade, riservate ai coloni israeliani, e la loro vita quotidiana è sottoposta a gravi impedimenti, tra cui una serie di posti di blocco militari e ulteriori ostacoli. I coloni israeliani di Hebron usano strade diverse e non devono passare per i posti di blocco.

Hebron viene descritta dall’esercito israeliano come una “smart city”. Le strade sono piene di telecamere di sorveglianza, montate su edifici, lampioni, torri di guardia e tetti: ciò inasprisce la già drastica segregazione esistente nella città. Questa onnipresente sorveglianza acuisce la sensazione dei palestinesi che alcune aree della zona H2 siano off-limits per loro, anche quando sono letteralmente a pochi metri dalle loro abitazioni.

Questo sistema via via aumenta il numero di volti palestinesi archiviati. Un comandante militare israeliano di stanza a Hebron ha dichiarato all’organizzazione Breaking the Silence che i soldati lavorano sull’addestramento e sull’ottimizzazione degli algoritmi per il riconoscimento facciale di “Red wolf” in modo tale che il sistema possa riconoscere i volti senza intervento umano.

Il quartiere di Tel Rumeida si trova nei pressi del posto di blocco 56, pesantemente equipaggiato: è dotato di almeno 24 dispositivi di sorveglianza audio-visiva e di ulteriori sensori. Eyad, un abitante, ha detto che il posto di blocco 56 su quella che era una volta la fiorente Shuhada Street, insieme a una forte presenza militare e dopo quasi 30 anni di limitazione ai movimenti e di chiusura forzata degli esercizi commerciali palestinesi, “ha ucciso ogni forma di vita sociale”.

Amnesty International sta sollecitando un divieto globale di sviluppare, vendere e usare la tecnologia di riconoscimento facciale a scopo di sorveglianza. Nell’ambito della sua campagna “Ban the Scan”, l’organizzazione ha recentemente documentato i rischi collegati all’uso della tecnologia di riconoscimento facciale in India e nella città di New York.

 

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