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Alessio Romenzi, cronache dall'inferno

Campo Visivo - di Dario Coletti

Fotogiornalismo di qualità: per dovere di cronaca ritengo giusto soffermarmi sui successi raggiunti dalle immagini di Alessio Romenzi perchè mi sembra non siano stati comunicati quanto meritavano. Il fotoreporter umbro, quarantenne è il vincitore del Days Japan International Photojournalism Awards nella sezione editor’s prize con il lavoro We Are Not Taking Any Prisoners.

Avevo già notato questo reportage in occasione del World Press Photo dove si era aggiudicato il terzo premio nella sezione General News - Story. Ne parlo, però, soprattutto perché alcune foto presenti nella selezione, hanno il potere di stimolare in me riflessioni più generali. Tra le immagini pubblicate quella che mi colpisce di più è una dove viene documentata la cattura di un combattente dell’isis. Il miliziano è trascinato per un braccio da un un soldato della sua età ed è circondato da altri giovani delle milizie legate al governo di Tripoli.

È un tempo congelato che nell’immaginario assume un carattere epico che sembra recuperato da un racconto antico come l’Iliade o l’Eneide. Tra gli elementi che caratterizzano questo racconto c’è, tra i piedi del catturato, una nuvola di fumo o polvere. C’è in questa immagine il suono, l’odore e della guerra. Quello che questa narrazione di una frazione di secondo lo rivela il fotografo - testimone. Dice che solo un istante prima un uomo tra la folla dei militi, quello in alto a destra con la testa coperta e il gomito fasciato, con indifferenza, senza neanche prendere la mira spara al prigioniero ferendolo a una gamba, è il fumo dello sparo e il trascinamento di quell’arto ferito che provoca quello sbuffo aereo.

Il dolore è evidente nella trasfigurazione della bocca urlante ed è qualcosa che sa di richiesta di pietà. Tutto, intorno ai due protagonisti, urla. Urlano le macerie e urla il cielo che assiste incredulo all’ennesima guerra tra simili e anche alcuni soldati, che hanno braccato e catturato il loro nemico, urlano. Ma il loro è un urlo diverso, sa di trionfo per la preda catturata ed è un urlo feroce. 

Alessio continua il suo racconto e mi dice che da questo momento l’uomo non riesce a tenersi eretto e cade senza la speranza di alzarsi ancora. Si sente ora l’odore del sangue mentre un senso tragico e definitivo aleggia sulla scena rappresentata. Sento a questo punto un raccoglimento. Un istante rotto dall’ennesimo urlo, quello terrificante delle armi. Si dice che in prossimità della morte si passi in rassegna la propria esistenza e mi chiedo se in questo tempo infinitesimale e infinito, ci sia il tempo per immaginare altro come una diversa esistenza o un diverso andamento dei fatti.

È la sintesi di un pentimento che non ha il tempo di maturare o il consolarsi, attraverso una pietosa bugia che illude, nel pensiero che nulla è perduto e che si possa tornare ad essere felici fuori dalla distruzione e dalla morte amando e godendo del dono della vita. Questo pensiero disperato ed estremo sviluppa in me una tenue, solida speranza


Autore: Dario Coletti

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