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Ahmadreza Djalali è vivo

Escluso da uno scambio di detenuti e impiccagione sempre imminente

15 gennaio 2025 -'' Sono uno scienziato, non una spia”, ha ripetuto più volte ai suoi carcerieri, agli interrogatori, ai giudici. Invano. Seguiamo questo caso dal 2017. Periodicamente cala il silenzio: Ahmadreza Djalali condannato a morte nel 2017, è stato  escluso dallo scambio di detenuti tra la Svezia e l'Iran.


Dal carcere iraniano di Evin ha inviato un disperato appello alla comunità internazionale affinché si mobiliti per consentire il suo ritorno a Stoccolma. E' rinchiuso nel braccio della morte del carcere di Evin da quasi otto anni, condannato in via definitiva all’impiccagione un anno dopo il suo arresto, avvenuto il 25 aprile 2016, sulla base della falsa accusa di spionaggio verso Israele.

"Le autorità svedesi sono informate della mia situazione disperata, ma il mio caso non è stato considerato una priorità. Temo per la mia vita, rischio di essere ucciso. La decisione presa dalle autorità iraniane sette mesi fa ha soltanto confermato le mie paure. Sono stato abbandonato nel mezzo di una situazione terribile, con il rischio imminente di esecuzione", ha detto Djalali nell’ audio.

Il ricercatore irano-svedese in Medicina dei disastri che ha vissuto anche in Italia e precisamente a Novara dove ha collaborato con le università italiane, è medico e docente con doppia cittadinanza (svedese e iraniana). Per anni ha insegnato  presso l'Università del Piemonte Orientale di Novara. Arrestato nel 2016 e condannato a morte l'anno dopo per "spionaggio", è stato escluso dallo scambio di detenuti portato a termine sabato 15 giugno 2024 tra Svezia e Iran.

E così a Teheran tornò Hamid Nouri, condannato in via definitiva all'ergastolo in Svezia per il ruolo avuto nel massacro delle carceri iraniane del 1988, in cui furono sommariamente uccisi migliaia di detenuti politici. In cambio, sono rientrati in Svezia il funzionario dell'Unione europea Johan Floderus, che rischiava l'ergastolo o la pena di morte per "spionaggio", e Saeed Azizi, condannato a cinque anni per "collusione contro la sicurezza nazionale" e gravemente malato.

Amnesty International Italia esorta le autorità italiane ad agire per ottenere al più presto l’annullamento della condanna a morte di Djalali e la sua liberazione, consentendo il suo immediato ritorno in Svezia.

Giova ricordare che tre anni fa,  il 24 novembre 2020 lo scienziato iraniano con passaporto svedese Ahmadreza Djalali aveva telefonato dal carcere per l’ultima volta a sua moglie Vida: le aveva detto addio perché gli avevano comunicato che sarebbe stato trasferito in isolamento nel braccio della morte e poi impiccato il giorno dopo. Da allora l’esecuzione di Djalali – arrestato in Iran nell’aprile 2016 e condannato a morte per l’inesistente accusa di spionaggio in favore di Israele – è stata sospesa e rimandata più volte. Il rischio di esecuzione resta elevato.

Il 2 marzo 2021 di fronte all’ambasciata dell’Iran che si trova a Roma in via Nomentana, Amnesty chiedeva che Djalali  fosse prosciolto da ogni accusa e rilasciato per  riabbracciare la sua famiglia

 
 

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Famigliari in angoscia

9 febbraio 2021 - La pressione della pubblica opinione internazionale (che deve proseguire!) aveva sortito un timido risultato a dicembre 2020: l'esecuzione dello scienziato Ahmadreza Djalali accusato di essere una spia, dopo un sommario processo, era stata rinviata di qualche giorno. Ma siamo a febbraio e la famiglia non sa più nulla da mesi e non può entrare in contatto. Lo stesso accade all'avvocato che lo sta seguendo in Iran, paese la cui severità inquieta: 27 esecuzioni in 31 giorni, è il numero delle esecuzioni per impiccagione nelle carceri iraniane.

L'appello della famiglia dello scienziato che ha vissuto a Novara, va al Governo italiano perchè faccia sentire la sua voce presso la diplomazia iraniana. Anche  il Presidente del consiglio UE David Sassoli ha fatto sentire la voce dell'UE, chiedendo un gesto di clemenza umanitari.

La mobilitazione della pubblica opinione internazionale ha preso corpo in una PETIZIONE ONLINE che ha già ricevuto  più di 175.000 firme CLICCA QUI

Ahmadreza Djalali è stato condannato a morte nell'ottobre 2017, dopo un processo clamorosamente iniquo celebrato dalla Sezione 15 del Tribunale rivoluzionario di Teheran, per "corruzione in Terra". Il tribunale si è basato essenzialmente su "confessioni" estorte con la tortura quando Djajali, arrestato nell'aprile 2016, era detenuto in isolamento senza avere accesso a un avvocato. Durante gli interrogatori, lo hanno minacciato di morte e lo hanno terrorizzato dicendogli che avrebbero ucciso i figli residenti in Svezia e la madre che vive in Iran.  

 

In una lettera trapelata dalla prigione di Evin nell'agosto 2017, Djalali ha denunciato che era stato arrestato solo perché aveva rifiutato di utilizzare le sue relazioni accademiche con le istituzioni europee per fare la spia in favore dell'Iran.

Il 17 dicembre 2017, una tv di stato iraniano ha mandato in onda una "confessione" di Djalali con una voce in sottofondo che lo presentava come una "spia".  Per due volte, dal dicembre 2017, i suoi avvocati hanno invano chiesto una revisione giudiziaria del processo.

Al contrario, il 9 dicembre 2018 hanno appreso che la prima sezione della Corte suprema aveva approvato la condanna a morte senza neanche consentire di presentare una memoria difensiva.

Nel novembre 2017 il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle detenzioni arbitrarie ha chiesto la scarcerazione di Djalali in quanto era stato arrestato senza mandato di cattura, era stato ufficialmente incriminato dopo 10 mesi dall'arresto ed era stato "concretamente privato dell'esercizio di contestare la legalità della sua detenzione".

9 febbraio 2021

 

 

 

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