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L'Editoriale - ''Il Canto del Pane'' di Corona Perer

Il vento che spazzola la piana ai piedi dell'Ararat, i mari di grano con le spighe dorate, i papaveri, la nostalgia di un cielo spesso infuocato, il respiro dello spazio: i versi di Daniel Varujan, morto a 31 anni in una delle prime retate che i turchi avevano organizzato per annientare il popolo armeno, sono un canto epico della Terra Madre, la patria negata, la patria annientata.
Questo numero affdronta un focus dedicato agli Armeni partendo dalla serata di musica e poesia che la scrittrice Antonia Arslan porta in giro per il mondo per raccontare la vera storia del suo paese: l'Armenia

Ai versi di Varujan Antonia Arslan - che di Varujan è stata la prima traduttrice e lo ha fatto conoscere al mondo – dedica commoventi serate con la straordinaria pianista e concertista armena Ani Martirosyan, nata a Yerevan dove oggi un memoriale ricorda i giorni folli della primavera 1915, quando il genocidio armeno venne attuato dopo essere stato pianificato a tavolino dal governo turco, che ancor oggi nega ciò sia accaduto.

E' su brani di grande complessità e cascate di note, eseguite senza partitura come la Ninna Nanna impetuosa e tragica del novecentesco Aram Khaciaturian (il compositore aveva 12 anni quando accaddero arresti, torture ed esecuzioni), o su ballate orientaleggianti di Arnò Babagianian in cui sembra di avvertire le raffiche del vento che spazzola la piana sotto la vetta innevata dell'Ararat, il monte dove l'arca di Noè avrebbe finalmente trovato approdo, che passa la storia di un popolo cancellato dalla Turchia di ieri e di oggi.

Il “Canto del Pane” è il libretto che Daniel Varujan aveva in tasca quando venne fermato, arrestato, incarcerato e poi internato ed ucciso. Una serata commovente alla quale ha presenziato anche l'ambasciatore della Repubblica di Armenia in Italia Sargis Ghazaryan seduto in prima fila visibilmente compiaciuto – da armeno – del silenzio con il quale il pubblico roveretano ha accolto e meditato sia i versi che la grande musica armena dal forte impianto romantico: da Komitas a Gurdjeff, da Harutiunian ai citati Khaciaturian e Babagianian, compositori a cavallo tra '800 e '900, affacciati sull'orrore e impotenti testimoni dell'annientamento.

“Siamo qui per rispondere alla domanda che il 22 agosto 1939 Hitler poneva ai suoi generali, spronandoli ad uccidere e ad essere spietati verso gli Ebrei. Egli terminò dicendo: chi dopo tutto si ricorda ancora dell'annientamento degli Armeni? La strage era avvenuta 15 anni prima” ha detto l'Ambasciatore dando atto al pubblico presente a Rovereto di aver fornito la risposta con la propria presenza.

Tutti oggi ricordano, eccetto la Turchia. Anche se il genocidio armeno oltre che negato non è stato a lungo conosciuto, ora è memoria grazie alla divulgazione che ne ha fatto in Italia Antonia Arslan con i suoi romanzi, le traduzioni, l'insegnamento all'Università di Padova e grazie anche a serate come quella proposta da Fondazione Caritro a Rovereto. Hitler, pur dicendo una tragica verità (l'uomo dimentica troppo in fretta), ha perso: grazie alla poesia e alla musica, la più immateriali fra le arti, la memoria si esprime, canta e suona.

Corona Perer
direttore@giornalesentire.it


in gallery: la nostra concept-cover di SENTIRE19

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