Arte, Cultura & Spettacoli

Firenze, degrado artistico in riva all'Arno

Dalle foto di Camilla Pelleri una riflessione tra arte e incuria urbana

di Paola Cassinelli - Ricevo da una amica fotografa, Camilla Pelleri, delle immagini scattate  durante una passeggiata lungo le rive dell’Arno nel centro cittadino del capoluogo toscano. Interessanti, curiose, anomale per una città che ha sempre posto la bellezza come condizione imprescindibile e che si è, nel passato, schierata contro certi aspetti dell’arte contemporanea apostrofandoli come eccessivi o angoscianti. Oggi, comunque, affacciandosi dal parapetto cittadino in prossimità degli Uffizi, sembra di trovarsi in un museo all’aperto di arte povera, pop, new dada, concettuale, della metà degli anni Cinquanta del secolo scorso.

Ho ripensato al povero Robert Rauschenberg (1924-2008), che 69 anni fa, dopo la stroncatura della sua mostra alla Galleria d’Arte  Moderna di  Firenze nel 1953  e le difficoltà logistiche per il trasferimento delle opere negli Stati Uniti, decise di gettare quasi tutti i lavori che componevano la sua esposizione in Arno (consigliato anche ironicamente dalla critica e appoggiato dal suo caro amico Cy Twombly).

Il suo lavoro era ancora agli esordi e dopo aver esposto a New York dipinti monocromi che acquisivano significato e valore in base al contesto o al luogo in cui venivano mostrati, aveva cercato, durante il suo viaggio in Europa, di innovare la sua ricerca professionale   raccogliendo e combinando oggetti con pitture, proponendo opere che furono definite: combines assemblages.

Il boom economico aveva portato per le strade e nelle case di buona parte della popolazione un quantitativo impensabile di nuovi oggetti: utilitarie, lavatrici, televisori, poster, cibi in scatola e bevande in lattina, che si riversavano, dopo poco tempo grazie al dilagare di un consumismo irrefrenabile, nelle discariche e nelle periferie delle metropoli.

Rauschenberg si aggirava per le strade cittadine e raccoglieva tutto quello che pensava potesse servirgli per creare opere, nate dalla fusione delle sue Red Paintings con  oggetti di recupero come animali impagliati, ruote, sedie e orologi. Si trattava di lavori anticonvenzionali che oltrepassavano la tradizionale definizione di opere d’arte anche se per il maestro americano  la fusione di diversi materiali è rimasta una tecnica invariata per tutta la sua lunga e brillante carriera, caratterizzata da un senso di sperimentazione ludico.

Purtroppo  la mostra fiorentina ricevette critiche molto negative e il gesto di ribellione al pensiero dominante e tradizionale fu quello di liberarsi in maniera eclatante dei suoi lavori. E’ evidente che non si è  trattato di un gesto di Performing Art ante litteram anche se oggi, guardando le foto della Pelleri, mi piacerebbe poter sognare che alcuni degli oggetti spinti a riva dalla corrente abbiamo avuto un percorso concettuale e non siano soltanto spazzatura gettata incautamente o volontariamente da qualche incivile.

Mi piacerebbe immaginare che il pennello, la bicicletta, la scarpa, la ruota, fotografate fortuitamente da Camilla Pelleri  siano passate dalle mani di Rauschenberg e di Twombly (impossibile per motivi di conservazione e perché si conoscono i soggetti delle opere gettate), e si trovino oggi abbandonate sulla sabbia, non per mostrare un aspetto di degrado cittadino, bensì per confermare che la forza dell’arte contemporanea sta nella possibilità soggettiva di individuare “il bello”, anche dove manca a priori un’idea di progetto artistico.
La mia speranza, dopo tanta poesia e romanticismo, è che comunque  presto sulle rive dell’Arno l’inattesa e anonima esposizione verrà “disallestita”. 


Autore: Paola Cassinelli

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