
Raffaello divin pittore: il mito dell'Urbinate
Onorato come nessuno prima di lui già in vita
Quando il 6 aprile 1520 si sparge la notizia della morte di Raffaello, Roma sembra fermarsi nella commozione e nel rimpianto, mentre la notizia della scomparsa si diffonde con incredibile rapidità in tutte le corti europee. S’interrompeva non solo un percorso artistico senza precedenti, ma anche l’ambizioso progetto di ricostruzione grafica della Roma antica, commissionato dal pontefice, che avrebbe riscattato dopo secoli di oblio e rovina la grandezza e la nobiltà della capitale dei Cesari, affermando inoltre una nuova idea di tutela.
Quando Raffaello muore a Roma, a trentasette anni, preda di una febbre che non gli lasciò scampo, era già celebrato tra i grandi del Rinascimento.
La sua arte ha brillato in molte mostre nel corso del 2020 perchè Raffaello fu davvero un genio universale. Onorato come nessuno prima di lui, Raffaello Sanzio (1483-1520), fu definito da Giorgio Vasari modello di riferimento. Una statura universalmente riconosciuta nel corso dei secoli successivi.
Sepolto secondo le sue ultime volontà nel Pantheon, simbolo della continuità fra diverse tradizioni di culto, forse l’esempio più emblematico dell’architettura classica, Raffaello diviene immediatamente oggetto di un processo di divinizzazione, mai veramente interrotto, che ci consegna oggi la perfezione e l’armonia della sua arte. Un genio unversale.
La storia di Raffaello si intreccia con quella di tutta la cultura figurativa occidentale che l’ha considerato un modello imprescindibile. L’avventura creativa di Raffaello, muove da Roma a Firenze, da Firenze all’Umbria, fino alla nativa Urbino. La sua massima espansione creativa si manifesta negli anni di Leone X con quel linguaggio classico che solo a Roma, assimilata nel profondo la lezione dell’antico, si sviluppò con una pienezza che non ha precedenti nella storia dell’arte.
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