Arte, Cultura & Spettacoli

Carlo Scarpa, l'architetto incompreso

''L'architettura è un linguaggio complesso''

Cosa significa fare architettura? Fare armonia, disse l'architetto veneziano Carlo Scarpa. «Possiamo dire che l'architettura che noi vorremmo essere poesia dovrebbe chiamarsi armonia, come un bellissimo viso di donna. L'architettura è un linguaggio molto difficile da comprendere, è misterioso, a differenza delle altre arti, della musica in particolare, più direttamente comprensibili. Il valore di un'opera consiste nella sua espressione: quando una cosa è espressa bene, il suo valore diviene molto alto» disse nel 1976.

A Carlo Scarpa  (1906-1978), la critica riconobbe la capacità di elaborare progetti e interventi in contesti antichi e di valore, grazie alla sua bravura nel leggere il contesto architettonico preesistente. Questa caratteristica dai suoi contemporanei veniva vista come limite mentre dai critici odierni viene visto come punto di forza:  lavorò nel e "sul" costruito come facevano i grandi architetti del passato, da Palladio al Bramante, da Brunelleschi al Borromini. La sua fu quindi un'architettura controcorrente rispetto ai movimenti dei suoi giorni.

Carlo Scarpa è figura assolutamente di rilievo nella storia dell'architettura italiana. Non si fermò mai dal progettare, nemmeno durante la seconda guerra mondiale.

Carlo Alberto Scarpa era nato a Venezia, ma la prima infanzia si svolge nella Vicenza del Palladio. Mentre ancora studiava all'Accademia di Belle Arti ottenne il primo incarico professionale iniziando a collaborare come progettista con alcuni vetrai di Murano. Dopo il diploma (1926) e la docenza nel neonato Istituto Superiore di Architettura di Venezia lavorò per le vetreria artistiche di Murano più prestigiose (tra cui la Venini della quale fu direttore artistico fino al '46).

Già impegnato come designer di arredamenti, partecipò al dibattito culturale veneziano  con intellettuali del calibro di Giuseppe Ungaretti, Carlo Carrà, Arturo Martini e Felice Casorati.  Aveva trent'anni quando, tra il 1935 e il 1937, realizzò la prima opera impegnativa, ovvero la sistemazione di Ca' Foscari di Venezia, sede dell'Università, a cui mise mano anche successivamente.

Fu uno dei più innovativi restauri del periodo: Scarpa si confrontò con la lezione di Le Corbusier e Frank Lloyd Wright. Meditò anche sul modo di concepire l’esposizione museali con  i cavalletti e le vetrine progettati da Carlo Scarpa per il Museo di Castelvecchio di Verona e la Gipsoteca Canoviana di Possagno.

Di rilievo fu la realizzazione del Padiglione del Libro nei giardini della Biennale all'inizio degli anni cinquanta. Anche in quel caso il pensiero andò a Frank Lloyd Wright che incontrò di persona in quel periodo e fu l’unica occasione in cui realizzò delle sculture.  Progettò la tomba Brion, un complesso monumentale funebre a San Vito D’Altivole (Treviso), con temi cari a suo agire architettonico (i motivi a zigzag o a gradoni).

Tre anni dopo aver realizzato la famosa Villa Zoppas a Conegliano, ottenne il Premio Nazionale Olivetti per l'architettura (1956) e la stessa azienda gli commissionò uno spazio espositivo Olivetti in piazza San Marco a Venezia.

La sua professione fu fonte di croce e delizie. Incappò infatti nell'invidia dei colleghi: fu accusato dall'Ordine degli Architetti di esercitare la professione illegalmente in quanto privo di laurea e quindi portato in tribunale. Mise fino alla diatriba la  laurea honoris causa in architettura che  nel 1978 gli fu conferita dall'Istituto Universitario di Architettura di Venezia.

Non potè partecipare alla cerimonia di consegna per un brutto scherzo del destino: il 28 novembre morì in Giappone a causa di un incidente: scendendo la scala dell'albergo di Sendai, che portava ai negozi del sottosuolo, cadde e successivamente morì in ospedale per le conseguenze del colpo alla testa. Quel giorno - raccontò chi gli era stato vicino - non voleva affatto uscire.
Ma lo fece ugualmente: andando incontro al suo destino.

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