testo e immagine di copertina di Gloria Canestrini
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Attualità, Persone & Idee

Erbe e streghe: l'agrifoglio

Gli antichi Romani li consideravano dei talismani

di Gloria Canestrini  -  La bella mostra ''L’Erbario delle streghe: libri, piante e magie'', allestita a Trento nella primavera del 2005 dal Museo Tridentino di Scienze Naturali in collaborazione con la Biblioteca Comunale di Trento, proponeva tre categorie di piante utilizzate per scopi terapeutico/magici: piante velenose e malefiche per malefici, incantesimi di morte e per il “volo” delle streghe (della sensazione di volare indotta dall’impiego di alcune erbe particolari si è parlato nelle scorse puntate di questa rubrica), piante salutari e propiziatorie per curare e favorire la salute, piante da difesa per proteggersi dai malefici e dalla cattiva sorte.
Una di queste, molto nota e diffusa soprattutto nel periodo natalizio, è l’agrifoglio, ossia l’Ilex aquifolium nella sua definizione botanica.

Durante i Saturnali, nei giorni che precedevano il solstizio invernale, gli antichi Romani portavano dei ramoscelli di agrifoglio perché li consideravano dei talismani ed erano convinti che piantando l’albero nelle vicinanze della casa si tenevano lontani i malefici. Questa funzione di amuleto vegetale, spiega bene Alfredo Cattabiani (studioso di storia delle religioni, di simbolismo e di tradizioni popolari) nel suo “Florario”, si ispira probabilmente all’aspetto di questo arbusto, che presenta foglie coriacee e accartocciate, munite di spine molto pungenti, evocando in tal modo una funzione di “difesa”.

Così lo studioso le descrive: “Sempreverdi e lucidissime, evocano anche immagini e idee di durata, di sopravvivenza, di prosperità, mentre i frutti globosi di color rosso vivo, che maturano in autunno e durano per tutto l’inverno, sembrano celebrare la rinascita del sole al solstizio e augurare un anno felice”.

Per questi motivi, soprattutto in Paesi come l’Inghilterra, la Francia, la Svizzera e la Germania, i contadini usavano appendere ramoscelli di agrifoglio nelle case e nelle stalle per allontanare i sortilegi e propiziare la fecondità degli animali.
Il grazioso nome  in lingua inglese destinato all’agrifoglio, ossia holly (da cui deriva Hollywood, che significa “bosco di agrifogli” non deve trarre in inganno circa l’innocuità della pianta: i suoi frutti sono velenosi per l’uomo, pur essendo invece ricercati dagli uccelli come cibo invernale.

 

Il Mattioli a sua volta scriveva che con le sue fronde spinose si proteggeva anche la carne salata dai topi e dagli altri roditori e per questo motivo la pianta era anche detta pungitopo maggiore. Certamente potremmo collocare l’agrifoglio nel settore “piante da difesa”, per i motivi appena descritti.

Eppure, nel processo che vorrei ricordare oggi, quello innescato alla metà del 1600 da Maria da Nogaredo, vedova di Andrea Salvadori detto Mercurio (detta pertanto la Mercuria) vennero inquisite due donne per pratiche stregonesche, colpevoli di annoverare tra le loro conoscenze botaniche anche il provvidenziale agrifoglio!

Domenica Chemella e sua figlia Lucia Chemella  di Villalagarina vennero denunciate come streghe dalla Mercuria, loro conoscente, in seguito a un litigio per via di un telo di canapa sparito o trafugato.
Per prima cosa la stessa denunciante fu subito imprigionata e interrogata, poi fu tratta in arresto anche la prima delle due donne,

Domenica Chemella, una vecchia vedova. Il verbale processuale ne annota la foggia: è dunque vestita “con un giupon strazzado de rassa nera, et maneghe de pano, vesta de mezolano, beretina frusta, grembial bianco et scuffia in testa”.
Ecco, sembra di vederla, la povera vecchia , mentre si ritrova spaesata in un gioco certamente più grande di lei (e, come vedremo, della stessa Mercuria).

Le due donne vengono messe a confronto e torturate per farle parlare: ed è come pescare a strascico, la rete si riempie e pure la prigione. La figlia di Domenica, Lucia, si rivela una “gola profonda”, che suo malgrado riesce a trascinare alla rovina una quantità impressionante di donne che finiranno, tra maledizioni reciproche e confessioni allucinanti rese sotto tortura e mai verificate con sopralluoghi o ispezioni da parte dell’accusa, per raccontare ogni genere di nefandezze nella speranza di sottrarsi agli inquisitori.

Secondo la Mercuria, sono state le due Chemelle, madre e figlia, a insegnarle come si diventa streghe, impiegando unguenti vari composti da olio di valeriana, radici e follicoli di erba senna, olio di finocchio, foglie “slavazze” (piantaggine) datura stramonium (o pan spinoso o pane delle streghe, di cui parleremo in un’apposita puntata) bacche di agrifoglio. Il tutto sempre potenziato da un elemento segreto fornito dal diavolo: tanto segreto che nessuna delle autrici delle confessioni seppe mai descriverlo!
La vera colpa, se così si può dire, oggi sappiamo in cosa realmente consisteva: molte delle accusate erano delle guaritrici, dato che una certa conoscenza botanica popolare era diffusa nei paesi dove la salute della comunità era affidata alle donne e non certo ai pochi medici laureati, riservati ai signori.

Sarebbe troppo lungo elencare i nomi di tutte le donne finite nelle spire del processo di Nogaredo, che si allargò sempre più, trascinando nella tortura e poi sul rogo decine di persone.
Unica nota positiva (e umana) fu la robusta difesa del giurista Bertelli. Come scrisse a tale proposito  Nives Fedrigotti nel suo articolo La santa e la strega pubblicato negli Atti del Convegno Sante Medichesse e Streghe nell’arco alpino : “una difesa  precisa nei fatti e dotta in diritto, una difesa che si direbbe moderna, per buon senso e umanità, che però non valse a smontare quell’allucinante castello di fantasie, vuoi dei giudici che delle donne, da lui definite fragili, imbecilli nell’intelletto, ignoranti, credulone, facilmente soggiogabili”.

Si stava così compiendo la trasformazione forzata da donne sapienti, fini botaniche, medichesse del popolo, ad esseri inferiori e vittime predestinate!
Il processo finì malissimo per tutte loro, Mercuria compresa: furono tutte mandate al rogo.
Un processo nato sotto il segno della delazione per futili motivi, da parte di una donna contro altre sue paesane, e poi degenerato grazie alle torture e ai manuali di demonologia, testi aberranti troppo spesso consultati dagli inquisitori.
Curiosamente Mercuria, il nome della delatrice, è anche quello di un’erba che entra spesso nelle ricette popolari e anche colte di quel secolo, citate nel prezioso libro “Tesoro degli Arcani” del bresciano Abate Passera.

Invece l’agrifoglio, quale pianta beneaugurante e “da difesa” è rimasto nella cultura popolare fino ai giorni nostri. Tant’è che qualche mese fa ne ho appreso il suo impiego anche sotto questo secondo profilo.
Una signora con una vicina di casa molesta e invadente mi ha detto di aver piantato un arbusto di agrifoglio nel giardinetto condominiale, proprio in direzione dell’ingresso della disturbatrice.
Pare che l’iniziativa sia stata premiata da una ritrovata coesistenza pacifica tra signore condomine: certo questo è un obiettivo importante e se per raggiungerlo c’è bisogno anche di ricorrere a un rametto di agrifoglio, oltre che alla buona educazione, che dire? Ben venga l’agrifoglio!

Gloria Canestrini

 

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Autore: Gloria Canestrini

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