illustrazione dell'Autrice
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Arte, Cultura & Spettacoli

L'alloro e il falò che porta bene

Erbe & Streghe - di Gloria Canestrini

Torniamo a parlare della farmacopea “dolce” e di una pianta che mai immagineremmo legata alla storia dei processi medievali alle donne “empiriche” tacciate di stregoneria per la loro conoscenza delle virtù dei “semplici”: l’alloro (Laurus Nobilis).

In cucina lo utilizziamo spesso per insaporire carni e minestre (rende più facilmente digeribile la carne rossa e regala alle zuppe un profumo delizioso, rilasciando l’olio essenziale di cui è ricco): io ne tengo sempre una pianta in giardino e una in vaso, a portata di mano.
Tutte qui, le proprietà dell’alloro? Certamente no.

Per la sua natura solare (oggi è ancora simbolo di vittoria, di bellezza e di poesia), mitologica e profetica, questa pianta preziosa è sempre stata considerata un’essenza apollinea, probabilmente consacrata in tempi ancor più remoti alle divinità femminili. Il mito della ninfa Dafne, inseguita da Apollo e trasformata da Zeus in lauro per sottrarla alle sue mire, ne ha fatto una delle piante più cariche di simbolismi, oltre che di virtù curative ed energetiche.

Le foglie di lauro essiccate e adoperate in infuso o in decotto, sono infatti stimolanti e antisettiche e aiutano la digestione, curando anche le fermentazioni intestinali. L’olio ricavato dalle drupe, carnose e scure, è utilissimo contro i dolori articolari e un suo strato sottile cosparso sul pelame difende gli animali dalle mosche.

Ricordiamo che la Pizia a Delfi ne masticava e bruciava un rametto per favorire il vaticinio (da qui la nomea di pianta profetica “che sa quel che sarà, che fu ed è”), e ancor oggi nei paesi nordici si usa bruciare qualche fogliolina di alloro per purificare l’aria di casa.
Ma torniamo a noi, ossia all'esame degli atti processuali e giuridici, delle trascrizioni di interrogatori e dei verbali che, dal 1400 in poi, consentono di estrapolare dettagli sull’utilizzo da parte delle medichesse popolari di particolari erbe e piante.

Scrive la studiosa Erika Maderna nel suo “Per virtù d’erbe e d’incanti. La medicina delle streghe”: Le accuse di stregoneria sono motivate dal fatto che le guaritrici operavano sia al di fuori dell’autorità della Chiesa, sia di quella della medicina ufficiale. La verifica dell’efficacia di terapie e ricette esulava dall’interesse specifico degli inquisitori, ma le deposizioni delle sospettate rimangono in alcuni casi un tesoro di informazioni sugli usi popolari ….”.

L’utilizzo dell’alloro sotto forma di olio, di unguento e di strumento rituale compare in diversi processi alle guaritrici popolari, anche perché, come abbiamo visto, si tratta di una pianta dalle tali proprietà e dal tale contenuto simbolico (oltre che essere molto diffusa) che il suo impiego doveva inevitabilmente finire nel mirino degli inquisitori.

Tra i tanti, ho scelto il processo a Benvegnuda Pincinella da Nave, “nel contesto dell’ondata di caccia alle streghe che investì l’area della Valcamonica tra il quindicesimo e il sedicesimo secolo, dove vennero istituiti processi seriali per stregoneria che sfociarono in un numero importante di esecuzioni” (Per virtù d’erbe d’incanti” ). In mancanza degli atti di questo processo, si fa riferimento alla documentazione presente dei “Diarii” di Martin Sanudo, un cronachista veneziano dell’epoca.

Tra le testimonianze pervicacemente raccolte nell’istruttoria, spicca quella del notaio Zuan Francesco de Tonolis, che dichiara di aver potuto osservare personalmente la pratica di chiaroveggenza messa in opera dalla Benvegnuda Pincinella (ossia piccolina di satura). Per questa sorta di divinazione la Pincinella aveva, a suo dire, utilizzato una cordicella, alla quale aveva legato un mazzetto di alloro.
Interrogato sulla circostanza su come mai avesse avuto occasione di assistere a questa strana liturgia, il notaio dovette ammettere di essersi rivolto alla Benvegnuda non per motivi di salute ma per chiederle una fattura d’amore per conquistare una signora di cui si era invaghito.
Il cancelliere verbalizzò, senza rimarcare la cosa. Ciò che lo interessava, evidentemente, era l’aspetto rituale, una sorta di liturgia pagana, del vaticinio.

La guaritrice, spiegò il notaio, muoveva la funicella con l’alloro facendola tremare, mentre pronunciava le formule di rito con tono cantilenante. Poi aveva recitato uno scongiuro per infondere alla donna desiderata  la passione per il notaio.
Davvero interessante è anche la testimonianza di un curato, convocato nel medesimo processo quale teste privilegiato. Il curato aveva esposto la Benvegnuda Pincinella alla riprovazione dei paesani assegnandole l’etichetta di strega e l’aveva persino diffidata dal praticare la magia terapeutica. Tale convinzione era legata all’utilizzo dell’alloro pestato quale “antidoto” che avrebbe consentito all’imputata e alle sue consorelle di recuperare l’aspetto umano al ritorno dal “volo magico”!

Ecco che il volo, del quale si è parlato in questa rubrica  a proposito della Belladonna, ritorna come principale capo di imputazione, assimilato alla pratica stregonesca. Abbiamo anche visto come questa sensazione veniva appunto indotta dall’utilizzo di sostanze vegetali allucinogene spalmate sul corpo sotto forma di unguento. Ora sappiamo che, per lo meno nella convinzione degli accusatori, esisteva anche un “antidoto”, a base di alloro, capace di far recuperare la forma umana qualora le donne “volanti” si fossero trasformate in uccelli o altri animali dotati di ali…

Ne emerge la smisurata capacità inventiva degli apparati processuali dell’epoca, rappresentati da giudici, notai, cancellieri, inquisitori, teorici di demonologia. Chissà se alcuni (per la verità pochi gli eruditi, tra questi) avevano tratto ispirazione dalle Metamorfosi di Apuleio, in cui si narra come la maga Panfile abbia utilizzato qualche foglia di alloro per preparare l’antidoto che le consentirà di recuperare l’aspetto umano al ritorno dal volo in forma di uccello.

Per la cronaca, la Benvegnuda, a seguito di queste deposizioni, dell’incalzare degli  interrogatori con tortura e delle conseguenti confessioni sempre più confacenti ai capi d’accusa che via via le vennero contestati, finì sul rogo. Nulla è dato sapere a proposito della fattura a beneficio del notaio Zuan de Tonolis, quella per cui il rito con l’alloro avrebbe dovuto procurargli la donna amata.
Nella letteratura classica il laurus nobilis è spesso citato nei riti di magia erotica: in quelli descritti dai poeti Teocrito e Virgilio le foglie di alloro, gettate tra le fiamme, accompagnano crepitando gli incantesimi pronunciati, quasi a simboleggiare lo struggimento ardente per la persona amata.

Per amore o per semplice curiosità di conoscere il proprio destino, le pratiche divinatorie con l’alloro, stregonesche e non, si sono susseguite nei secoli.

Scriveva Tibullio:
E gli allori accesi sulle fiamme rituali
Mandino un crepitìo di buon augurio
E con questo fausto presagio
Vi sarà un sacro anno ricco e felice.
Quando il lauro offre buoni auspici, gioite, o coloni:
Cerere coprirà di spighe il colmo granaio.

L’usanza di bruciare alloro è giunta sino a noi, passando per le campagne dove si traevano auspici sul futuro raccolto; se il crepitìo era vivace, il raccolto sarebbe stato abbondante.
Chi avesse voglia di sperimentare questo piccolo falò personale con un paio di rametti di alloro per interrogare il futuro (facendo attenzione alla vampata, perchè, anche se le foglie sono secche, conservano al loro interno l’olio essenziale) mi scriva come è andata…  
 

 


Autore: Gloria Canestrini

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