Arte, Cultura & Spettacoli

Il sorbo selvatico

Erbe & Streghe - Una pianta, le bacche e il colore rosso.

di Gloria Canestrini  - Il sorbo selvatico, le bacche in un barattolo e il colore rosso. Nel 1646-47 venne celebrato a Nogaredo, paese trentino retto dai signori Lodron, feudatari del principe di Innsbruk, un noto processo per stregoneria.  Fu uno dei molti celebrati nel Tirolo, terra d'origine di Jakob Sprenger, autore insieme al frate domenicano Heinrich Kramer del celebre manuale Malleus Maleficarum, di cui abbiamo già parlato in questa rubrica. Una sorta di guida pratica concepita allo scopo di reprimere l'eresia, il paganesimo e la stregoneria, che oggi potremmo definire un vero condensato di pregiudizi, di farneticazioni e di fanatismo.

Il processo di Nogaredo è uno dei pochi dei quali siano stati conservati integralmente gli atti, dapprima custoditi a Castel Noarna, sede del processo, poi trasferiti nei cassoni ove erano stati riposti presso la biblioteca di Rovereto.
Nel 1885, C.T. Dandolo, che ebbe modo di consultare gli incartamenti, li pubblicò in ''La signora di Monza e le streghe del Tirolo''. Se si toglie qualche didascalia di raccordo e la traduzione delle battute dialettali delle accusate, il Processo è una fedele registrazione delle udienze tenutesi, per cinque mesi, nell'allora pretura di Nogaredo.

Il 30 novembre 1646 il cancelliere Costantino Frisinghello legge a Lucia, una delle popolane comparse al cospetto del giudice Paride Madernino, la deposizione di una vicina che l'ha denunciata, insieme ad altre, per aver procurato l'aborto della marchesina Bevilacqua, ospite del feudatario di Lodron.

I capi di imputazione, in aggiunta a questo, sono moltissimi. Le due donne sono accusate di essere “malfattore”, avvelenatrici, di sapersi trasformare i gatti, di aver sedotto numerosi mariti, di aver “abbracciato” il diavolo, di essersi recate in diverse occasioni al Sabba, di avere con il suo aiuto  stregato altre creature, di aver fatto feste sfrenate, cantato, bevuto e ballato e di aver persino “rovinato” la moglie del Cancelliere Frisinghello!

Il 2 dicembre il giudice ordina al bargello, Giuseppe Goriziano, di sequestrare gli oggetti trovati in possesso di Lucia al momento del suo arresto, oggetti sospetti di servire per i malefici.
Sono messi a disposizione del giudice: un coltello grande “da stregone” senza guaina, un fascio di frumento, un barattolo di legno, una cesta piena di pentoline e di poveri con diverse bacche mescolate, farina d'amido, legumi, varie specie di erbe “legate da pezze con nodi”.

A parte i poveri alimenti che all'epoca (e forse ancor oggi) si potevano trovare in ogni cucina di campagna, viene la curiosità di chiedersi cosa fosse custodito in quel barattolo di legno.
Il verbale, minuzioso, chiarisce anche questo: delle bacche di sorbo.

Del sorbo selvatico parla diffusamente Robert Graves, autore de La dea Bianca, uno dei grandi libri sulla mitologia che raccolgono, interpretano e danno continuità agli antichi miti umani. Di questo libro, Pietro Citati ha scritto che fa “echeggiare di nuovo tra noi quei miti, avvolgendoci nella loro melodia, contagiandoci con i loro suoni, come migliaia di anni fa o in quell'istante miracoloso fuori dal tempo in cui il mito per la prima volta esplose alla luce...”

Il sorbo selvatico, o Fraxinus (o Pyrus) aucuparia è uno dei principali testimoni del mito della rinascita, del ritorno alla vita e della conoscenza e, nel contempo, un'essenza combattuta dal potere, non solo quello controriformatore e seicentesco.

Robert Graves, nel capitolo dedicato all'alfabeto arboreo, ne scrive così: “Il sorbo selvatico (“albero della vita”), altrimenti noto come sorbo degli uccellatori o sorbo rosso, era usato dai druidi come estrema risorsa per obbligare i demoni a rispondere a domande difficili (donde l'espressione proverbiale irlandese “andare sulle frasche della conoscenza”, per significare “fare di tutto per scoprire qualcosa”).

Il sorbo selvatico è anche l'albero più usato nelle isole britanniche come protezione contro il fulmine e le stregonerie in genere: basta un frustino di sorbo, ad esempio, per domare la corsa di cavalli stregati. Le bacche di sorbo magico, custodite da un drago, hanno la virtù nutritiva di nove pasti, risanano le ferite e aggiungono un anno alla vita di un uomo.

La bacca di sorbo, insieme alla mela e alla noce rossa, viene detta “cibo degli dei”, espressione che porterebbe a interpretare il tabù alimentare su tutto ciò che è rosso come un'estensione di quello comune sul fungo rosso dell'Amanita Muscaria che, secondo un proverbio greco citato da Nerone, era il “cibo degli dei”. Cibo o potente allucinogeno che sia, ne abbiamo già parlato in questa rubrica.

Nella Grecia antica tutti i cibi di colore rosso: aragosta, pancetta, triglie, gamberi, frutta e bacche rosse, erano considerati tabù, tranne che durante le festività in onore dei morti. Il rosso era il colore della morte in Grecia e nella Britannia dell'Età del Bronzo, come mostra l'ocra rossa rinvenuta nelle sepolture megalitiche.
Ma il sorbo selvatico è anche l'albero del ritorno alla vita e del risveglio, oltre che della divinazione.

La bacchetta magica da rabdomante, un tempo usata per trovare i metalli, era fatta di legno di sorbo rosso. L'uso oracolare di questa pianta spiega l'insolita presenza di boschetti di questi alberi in molte località usate come sedi degli oracoli, soprattutto nelle vicinanze di antichi cerchi di pietre.

Tra il 21 gennaio e il 17 febbraio cadeva l'importante festa celtica di Candelora, che si riteneva segnasse il rinascere dell'anno, in cui le streghe britanniche celebravano i loro sabba. Gli altri tre erano May Eve (Calendimaggio), Lammas (festa del raccolto, il primo agosto) e All Hallowe'en, la vigilia di Ognissanti. Il legame tra il sorbo rosso e la festa del fuoco di Candelora compare nel Libro di Ballymote, che dà come nome poetico del sorbo rosso “delizia dell'occhio”, ossia Liusiu, fiamma.

Alla marchesina Bevilacqua di Nogaredo forse ne fu donata qualche bacca contenuta nel barattolo di legno, ma non certo per avvelenarla, posto che questa bacche, graditissime agli uccelli, sono innocue anche per gli esseri umani. Tale considerazione non bastò a salvare le povere “streghe” di Nogaredo. Durante il “processo criminale” che poi le vide condannate, sia la difesa, affidata a un avvocato d'ufficio, che la perorazione pronunciata da una delle imputate (“Noi ci buttiamo nelle braccia della buona giustizia, confidando che non ci sarà fatto torto”) , nulla bastarono a far recedere il giudice dal suo proposito.

Così riporta Francesco Bolzoni, nel suo Le streghe in Italia: ''...il 14 aprile 1647, nel luogo designato, davanti ai villici obbligati ad assistere al supplizio per evitare una multa, vengono decapitate Menegota, Lucia, Domenica, Caterina e Zenevra. I corpi delle cinque donne sono bruciati. I resti sono seppelliti alle Giarre, in terra maledetta. I loro beni confiscati''.

Di fronte a tanto accanimento, sembra accertata la presenza sulla collinetta dell'esecuzione di un bell'esemplare di sorbo, appena fiorito. Le “famigerate” bacche rosse, per fortuna, non erano ancora comparse sull'albero.

Gloria Canestrini


Autore: Gloria Canestrini

www.giornalesentire.it - riproduzione riservata*

Commenti (0)

Articoli correlati