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Arte, Cultura & Spettacoli

La Malva e il segno diabolico

Erbe & Streghe - di Gloria Canestrini

La Malva e... il segno diabolico. Oggi è considerata una pianta calmante, benefica, dalle proprietà emollienti, antinfiammatorie e blandamente lassative. Insomma, un rimedio tranquillo, che non favorisce di certo condotte trasgressive, stimolanti, o stati allucinatori o, addirittura, come vedremo, la  sudditanza a Satana.

Abbiamo visto in questa rubrica altre erbe che invece erano legate al sabba o ai riti di guarigione delle medichesse popolari e che, come tali, erano rubricate anche nei capi di imputazione dei numerosi processi contro le presunte streghe nel corso del medioevo fino a tutta la Controriforma.

Eppure, la fantasia morbosa dei molti inquisitori e dei tanti estensori di manuali di demonologia fioriti in quelle epoche riuscì a trasformare questa tranquilla malvacea (protettiva, tra l'altro, delle mucose, degli occhi, del cavo orale, della pelle, dell'apparato gastrointestinale e respiratorio) in un pericoloso segnale di sudditanza a Satana.

Scrive Massimo Centini nel suo arguto e perfino gustoso libro I sacri crimini: “Indicative in tal senso le certezze di un arrabbiato accusatore di eretici e di streghe, Francesco Maria Guazzo (1570-1640) che, nel suo Compendium Maleficarum, a proposito del signum diaboli aveva idee piuttosto precise. Secondo questo fanatico “esperto” di demonologia, gli adepti  del diavolo sono soliti avere il proprio segno distintivo impresso sulla pelle, che può essere appena visibile o molto accentuato.

Il marchio non ha sempre la stessa forma, perché può essere simile all'impronta di una lepre, di un rospo, di un ragno, di un ghiro, ma anche alla forma di una foglia dalla forma particolare, come quella della malva.

Il Guazzo prosegue poi nella sua trattazione, chiarendo che il segno diabolico non è impresso sempre nello stesso punto, perché “nell'uomo si trova per lo più sotto le palpebre, le ascelle, le labbra o sulle spalle o nelle parti intime, mentre nella donna è situato sulle mammelle o sul pube”. Ricorrente quindi la sua presenza legata al sesso, motivo per il quale gli inquisitori avevano il (gradito) compito di cercarlo nelle zone del corpo a ciò deputate.

I “marchi” diabolici tanto ricercati a dimostrazione della colpevolezza di imputate (moltissime) e imputati (pochi) erano in realtà dei nei, delle cicatrici, oppure voglie e segni sull'epidermide di varia origine, comunque del tutto naturali. Se per caso qualcuno di questi segni presentava forme con caratteristiche tali da rimandare a figure riconoscibili, per chi subiva il processo le cose potevano mettersi davvero male.

 

Non occorre entrare nel merito dei dettagli poiché è immaginabile quale sofferenza producesse la ricerca, anche strumentale, del Signum Diaboli: un famoso cacciatore di streghe, tale Mattew Hopkins, attivo durante la guerra civile inglese nel 1620, realizzò un apposito spillone a punta retrattile per facilitare la ricerca sui corpi delle imputate, istruendo perfino una squadra di wictch prikers (pungitori di streghe) specializzata nella ricerca dei marchi diabolici e braccio operativo di inquisitori e giudici.

Non tutti, fortunatamente, nutrivano questa ossessione. Friedrich von Spee (1591-1653) un gesuita illuminato, riteneva la caccia alle streghe il risultato dell'opera di demonizzazione di un sistema inquisitoriale atto a produrre colpevoli, dando vita a un meccanismo volto a creare strumenti repressivi finalizzati al controllo della società. Testimone in numerosi processi non ebbe dubbi nell'affermare: “Io di marchi corporali non ne ho mai visti e non ci crederò finché non li vedrò”.

Ma torniamo alla malva che, ancor prima di venire interpretata come un'immagine diabolica, ebbe una storia precedente. Secondo Marside, il grande poeta epigrammista latino, nato il primo marzo del 40 dopo Cristo, la Malva Sylvestris serviva per neutralizzare gli effetti delle nottate trascorse a bere e a mangiare smodatamente. Il raffinato Marside, se fosse vissuto mezzo millennio dopo, non sarebbe nemmeno stato sfiorato dal sospetto che tali bagordi potevano essere quelli di donne sfrenate in combutta con il demonio!

Plinio considerava invece la malva come una panacea, un rimedio per tutti i mali: bevendone giornalmente il succo ci si preservava da ogni malanno.

Scrive Alfredo Cattabiani nel suo prezioso Florario: “Nel passato i contadini si servivano delle foglie di malva per estrarre i pungiglioni di vespa, mentre la sua linfa ridotta in poltiglia veniva usata come crema rinfrescante per il viso”. Parlando di erbe e di tradizioni popolari, si ritorna sempre là ai rimedi benefici, magari scambiati nottetempo da un balcone all'altro,  e alle donne.

Conclude Cattabiani: “La Malva aveva invece una proprietà magica, come spiega il libello De secretis mulierum attribuito ad Alberto Magno, dove la si raccomandava come una cartina di tornasole per sapere se una fanciulla fosse ancora vergine. Fac eam mingere super quandam herbam quae vulgo dicitur malva de mane; si sit sicca, tunc est corrupta, prescrizione che non ha bisogno di traduzione”.

Certo non interessa più a nessuno questo tipo di utilizzo (e di verifica), ma ricordando quanti guai processuali abbia causato alle nostre progenitrici medievali, potremmo riscattare la figura della malva considerandola invece una potente pianta di protezione, così come tutt'oggi accade in certi borghi contadini del Nord e dell'Est Europa.

Appendiamone un rametto beneaugurante sulla porta di casa o infiliamola nel nostro libro preferito come grazioso e utile talismano.


Autore: Gloria Canestrini

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