illustrazioni realizzate dall'Autrice
illustrazioni realizzate dall'Autrice
Arte, Cultura & Spettacoli

Erbe & Streghe: la Salvia Officinalis

di Gloria Canestrini - Tra i poteri: riconquistare l’uomo amato

La Salvia Officinalis. Parlando in questa rubrica della belladonna, abbiamo ricordato due categorie di erbe: quella delle piante psicotrope, spesso letali, ossia delle specie vegetali con proprietà narcotiche e allucinogene  presenti in natura allo stato selvatico, e il gruppo invece appartenente una farmacopea più dolce, composto dalle erbe comuni, che hanno sempre costituito la farmacia domestica del mondo contadino.

Anche l’utilizzo delle più abituali essenze da parte delle guaritrici popolari tacciate di stregoneria (e per questo processate e condannate) è stato censurato sia dai tribunali ecclesiastici che da quelli civili nel periodo della Controriforma.

La pianta di cui parliamo oggi appartiene a questo gruppo, ossia  quello delle piante ancor oggi impiegate normalmente in larghissima diffusione: la salvia. Certo nessuno attualmente si sognerebbe di definirla pericolosa, né per i suoi impieghi in cucina, nè quale trattamento per i i malanni di stagione!

Eppure, insieme all’artemisia, al mirto, alla menta, alla verbena, alla lavanda, al caprifoglio, alla ruta e a diverse altre, ci fu un tempo in cui il suo utilizzo arrivò ad essere contestato alle medichesse popolari quale specifico capo di imputazione.

La Salvia Officinalis è una piccola pianta perenne erbacea aromatica appartenente alla famiglia delle Lamiaceae, la stessa famiglia del timo e della menta. Il nome scientifico del genere è stato attribuito, come per moltissime altre piante, da Carl von Linné, conosciuto come Linneo (1707-1778), biologo e scrittore svedese considerato il padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi, nella sua nota pubblicazione Species Plantarum.

L’etimologia del nome del genere Salvia ( ne esistono numerosissime specie, oltre 900) dice già tutto circa le sue proprietà e i suoi impieghi: deriva dal latino salvus ( sicuro, bene, sano). In Europa si trova ovunque e, della ventina di specie presenti sul territorio italiano, ben nove si trovano nell’arco alpino.
Ovvio, quindi, che la farmacopea popolare ne abbia sempre contemplato l’uso pacifico e per di più vantaggioso.

 

Non così ovvio per Bertold von Lafay, che presiedeva la giuria nel processo celebrato tra il 1506 e il 1510 a Castel Prosels di Fié allo Sciliar. Imputate: Anna Jobstin e Juliane Winklerin, due botaniche esperte che della salvia, così come di tante altre essenze vegetali, conoscevano ogni proprietà e ogni utilizzo: dalla cura di astenie, diabete, disturbi digestivi, stati depressivi, faringiti, sudori notturni degli ammalati di polmoniti, mestruazioni dolorose, alle creme di bellezza antirughe e antinfiammatorie per i denti, fino alla cura della sterilità e ai filtri adatti a riconquistare l’uomo amato ( daremo questa ricetta, ovviamente datata 1500, più avanti).

Il processo vero e proprio veniva preceduto dalla tortura. Anna, ripetutamente sollevata da terra a dire tutto ciò che sapeva dei suoi rapporti con il diavolo, sulle prime rispose di non saper cosa dire, poi il dolore alle braccia si fece così intenso ad ogni strattone, che urlò:- Tiratemi giù, ché vi dirò tutto.
-Dunque?- la incalzò il giudice, presente nella sala di tortura.
Da lì iniziò la “confessione”, durata a più riprese per parecchi giorni, nella quale l’imputata ammise tutto o, meglio, raccontò con dovizia di particolari ciò che il giudice voleva sentire.
Circa il “volo magico” ( la sensazione di volare provocata dalle erbe allucinogene di cui abbiamo parlato a proposito della Belladonna) il giudice chiese:- Era il diavolo che ti trasportava?
-Non so chi era- rispose Anna.- E’ stato solo un momento. Io volavo nello spirito..
-Nello spirito del diavolo?- insistette il giudice, consultando il Malleus Maleficarum, ossia il manuale di demonologia in uso alle corti processuali nei processi contro le donne accusate di magia e di stregoneria.
La “confessione” continuò, tra “levate di peso” e pause, per consentire al cancelliere di prendere appunti per il verbale. Dopo aver spiegato al giudice come si faceva “il viaggio”, Anna Jobstin ammise di “sapere tante magie”, anche quelle a base di erbe. Ecco il suo racconto, tratto dai verbali processuali:
Per prima cosa mi serve un bastone. Dopo bisogna cercare nel prato cinque erbe: un rametto di salvia, che però deve avere anche i suoi fiori. E’ meglio se i fiorellini sono tanti. Poi serve un rametto di aconito, uno di tasso barbasso,un po’ di erba crassula. Quando si hanno queste erbe si va nel mezzo di un bivio e si mettono a terra. Bisogna avere un guanto e infilarlo nella mano sinistra, se no la magia non funziona. Con questa si mena il bastone battendo  forte le erbe e  chiamando a raccolta tutti i diavoli. Con la mano destra, senza guanto, si raccolgono le erbe battute e si solleva la mano in alto, sopra la testa e, alla fine, si infilano in un ceppo, ripetendo l’invocazione al diavolo.

Risulta evidente che la povera Anna non sapeva più cosa inventarsi per giustificare l’impiego delle erbe incriminate e poter sfuggire alla tortura ( oggi  potremmo dire che “tirava il can per l’aia” o, in linguaggio processuale “ adottava un comportamento avente finalità dilatorie”).
Non si è conservata traccia della sentenza inflitta dal giudice von Lafay e dagli undici giurati che lo affiancavano. Sappiamo però che secondo la tradizione dei tribunali speciali dell’epoca, venne comminata una condanna a morte. Anna Jobstin e Juliane Winklerin vennero giustiziate sul Colle del patibolo, la collinetta posta al crocevia dove convergono le strade provenienti da Castelrotto, da Siusi e dall’Alpe, il luogo destinato al rogo delle streghe.

Per terminare con un sorriso questo drammatico resoconto, ecco infine una ricetta ( si dice molto efficace) sopravvissuta fino ai nostri giorni per riconquistare l’uomo amato:
Prendete alcuni peli dalla barba dell’uomo in questione, se possibile quelli che crescono presso l’orecchio sinistro e procuratevi una moneta che egli abbia portato addosso almeno mezza giornata. Mettete a bollire tutto in una pentola di coccio, mai usata, piena di vino: gettatevi a questo punto una manciata di salvia e, dopo un’ora, ritirate la moneta. Tenete la moneta nella mano destra e andate presso colui che desiderate, toccandogli la spalla sinistra. Egli, d’ora in poi, vi seguirà dappertutto.
Io non l’ho mai provata, ma se qualcuna o qualcuno vorrà farlo, poi mi dirà….

LEGGI ANCHE

LA BELLADONNA

L'AGRIFOGLIO

L' ALLORO


Autore: Gloria Canestrini

www.giornalesentire.it - riproduzione riservata*

Commenti (0)

Articoli correlati