testo e immagine di Gloria Canestrini
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Il vischio pianta dell'anno nuovo

Erbe & Streghe - di Gloria Canestrini

di Gloria Canestrini - Oggi parliamo del vischio, la pianta dell'anno nuovo. Jaques Brosse, nel suo saggio “Mitologia degli alberi” ci regala un meraviglioso capitolo intitolato “Il bosco sacro e le anime degli alberi”. Ripercorrendo le concezioni arcaiche o tradizionali, secondo le modalità che Claude Lévi-Strauss chiama giustamente il pensiero selvaggio (dato che “selvaggio” viene da silva, foresta) gli alberi sono abitati e hanno un’anima. Tutte le piante secondo le antiche credenze popolari ne avevano una, alcune in grado superlativo: erano queste piante sacre, perché abitate da una divinità nota che le aveva elette a sua dimora.

Sappiamo che nel novero delle numerosissime donne erboriste, rizotomiste, fitoterapeute, botaniche e guaritrici che furono inquisite, processate e condannate come streghe all’epoca della Controriforma nell’Arco Alpino rientrava abitualmente, nell’importante fase della raccolta, la frequentazione di boschi e foreste.

Nel suo bel libro “Streghe, Storie e Segreti”, Tersilla Gatto Chanu le presenta così: “Spesso le loro cure sopravanzavano le terapie talora insensate dei medici e ottenevano risultati là dove avevano fallito anche gli esorcismi dei preti: Paracelso non esitava a dichiarare che buona parte della sua scienza gli derivava dalle fattucchiere…La medicina popolare era un’arte consolidata dall’esperienza e dalla tradizione”.

 

Questa medicina popolare esercitata “sul campo” (e, come vedremo anche nel bosco) comprendeva la raccolta di funghi, cortecce, minerali, scorze e radici con cui le streghe precorsero i tempi nell’uso di analgesici, eccitanti, sonniferi, cicatrizzanti, antisettici, antinfiammatori e molti altri preparati galenici che solo a distanza di secoli entrarono nella farmacopea ufficiale.

La pianta di cui oggi ci occupiamo, perché menzionata nei verbali degli interrogatori processuali, è il vischio o Viscum album. Nei verbali di interrogatorio per stregoneria si dava ampio rilievo alle confessioni, per lo più estorte con la tortura, alle imputazioni inerenti la magia, gli incontri con il diavolo, e a tutte le presunte malefatte delle povere donne inquisite: si accennava però con estrema cautela ai medicamenti di cui si servivano, per evitare che se ne estendesse l’uso. Oggi diremmo che non si voleva pubblicizzare ciò che andava combattuto ed estirpato, ossia il sapere popolare e quello delle donne in particolare.

Eppure il vischio, per sua importanza, carica simbolica e impieghi medicinali, dovette essere menzionato spesso, in quei processi, anche perché alle cosiddette streghe veniva imputata di per sé la frequentazione dei boschi, ritenuti luoghi di raduni segreti e di “sabba” nei quali, secondo le accuse, avvenivano riti magici e orge diaboliche. Sicuramente le erboriste botaniche (da qui la parola “betonega”) nei boschi cercavano i loro rimedi fitoterapici e, tra essi uno importantissimo: il vischio.

Oggi per la sua tossicità, dovuta soprattutto alla velenosità delle bacche, è usato con prudenza. Viene impiegato come ipotensivo e diuretico, per i disturbi della menopausa e negli stati emorragici. Plinio lo consigliava per le infiammazioni, per l’ingrossamento delle ghiandole linfatiche e soprattutto contro l’epilessia, ma solo quello che nella raccolta non aveva toccato terra, che non era caduto. Oggi non è più usato nella cura dell’epilessia, ma è rimasto un farmaco antiepilettico fino al XIX secolo.

 

In botanica è una pianta parassita, perché vive sui tronchi degli alberi e da questi ricava la linfa. In primavera si ricopre di piccoli fiori giallastri, mentre in autunno-inverno i suoi frutti sono bacche perlacee.
Il nome deriva dal latino viscum ed è riferito alla sostanza appiccicosa che producono queste bacche). Per la consistenza e il colore del liquido derivante dalle bacche spremute, nel corso dei secoli si è vista una chiara analogia con lo sperma: da qui l’impiego per riti propiziatori della fecondità e della forza maschile.

Torniamo al bosco sacro: l’idea che la pianta venisse dal cielo, non toccando mai terra (sono infatti gli uccelli a propagare i suoi semi) ne ha sempre fatto una pianta a forte carica simbolica. Anche le botaniche popolari (lo ricaviamo dai verbali processuali) usavano raccoglierlo facendo cadere il vischio con un bastone o con una freccia, afferrandone il cespo al volo prima che toccasse terra. Precauzioni ispirate appunto al rispetto sacrale di questa pianta semiparassita e sempreverde che vive sui rami del pino silvestre, della quercia e di pochi altri alberi del bosco.

Anche i Celti consideravano il vischio una pianticella misteriosa, donata dagli dei poiché non aveva radici e favoleggiavano che nascesse là dove era caduta la folgore: simbolo della discesa di una divinità, e dunque di immortalità e di rigenerazione.
I Druidi, ossia i maghi di quei paesi, lo coglievano con una falce d’oro e non consideravano niente di più sacro del vischio, purché fosse cresciuto su un rovere. Sacri erano solo i boschi di rovere adornati di vischio e nessun rito poteva essere compiuto in altro luogo.

Scrive Alfredo Cattabiani nel suo Florario: “Le usanze druidiche continuarono in Francia anche dopo la sua cristianizzazione: sappiamo che nel XV secolo la gente partecipava ancora a una cerimonia che ricordava quella druidica e veniva detta guilanleuf, ossia vischio dell’anno nuovo”.

Secondo antiche tradizioni risalenti al IV secolo, rimuovere prematuramente le decorazioni di vischio all’interno delle abitazioni portava sfortuna. Si credeva che gli spiriti vivessero all’interno di questi elementi e che accoglierli in casa durante l’inverno offrisse loro calore e protezione. Quindi mai rimuoverli prima del primo giorno dell’anno, ma nemmeno conservarli dopo l’Epifania:  questi spiriti dovevano infatti tornare da dove erano venuti una volta terminate le feste.

Naturalmente, come tutte le piante potenti, il vischio continua ad assumere significati simbolici ( oltre che farmacologici e storici, come abbiamo visto) anche ai nostri giorni.
Per le feste natalizie si usa appendere rametti di Viscum album agli usci delle case e ancora, in alcuni paesi montani, portarne al collo un rametto perché lo si considera un amuleto per prevenire le disgrazie e per scacciare gli influssi negativi durante l’anno nuovo.

Anche un’altra antica consuetudine sopravvive tutt’oggi: se si passa in compagnia sotto un cespo di vischio ci si deve baciare, e se una ragazza non riceve questo bacio rituale non si sposerà nell’anno successivo.
Tant’è che in qualche villaggio dell’Inghilterra non ancora troppo frequentato da turisti e nuovi ricchi residenti, ancora viene ricordato l’antico rito propiziatorio per i matrimoni. Nelle notti tra il primo e i sei gennaio se ne deve bruciare il  mazzo che ha addobbato la casa durante le feste natalizie.

In un periodo come il nostro, in cui i matrimoni scarseggiano, potrebbe essere un’idea…


Autore: Gloria Canestrini

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