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Arte, Cultura & Spettacoli

Amanita Muscaria, la Signora del Gioco

Erbe & Streghe - di Gloria Canestrini

di gloria canestrini - L'Amanita Muscaria ovvero La Signora del Gioco... A chi non è capitato in autunno di scorgere nel bosco qualche fungo dal cappello rosso fuoco punteggiato di bianco? La bellezza di questi funghi  va di pari passo con le loro proprietà venefiche, che non conducono alla morte (se non ingeriti in larga dose, ossia più di due cappelli)  come in altre specie di Amanita ma che comunque provocano seri disturbi come la caduta pressoria, la bronco costrizione e potenziali blocchi cardiaci.

Non tutti sanno (come vedremo, tali effetti erano invece ben noti alle tradizioni popolari) che le Amaniti Muscarie, come scrive Alfredo Cattabiani nel suo Florario, “hanno effetti allucinogeni, dovuti all’acido ibotenico e al muscimolo, che suscitano delirio, spasmi muscolari e torpore e si riscontrano nelle urine di chi ha mangiato il fungo”. Tant’è che in Germania l’Amanita Muscaria è chiamata in gergo “fungo dei pazzi” ed è stata considerata malefica. In Inghilterra la si è battezzata volgarmente “trono di rospo”, perché le credenze popolari la collegano spesso a questo animale prediletto dalle streghe.

In questa rubrica, trattando della Belladonna, abbiamo visto il perché: i rospi, una volta ingeriti erbe e funghi dalle proprietà allucinogene, poi le trasmettevano attraverso l’unguento ricavato con la loro pelle. Tale unguento veniva utilizzato dalle “streghe” perché, spalmato sul corpo, poteva indurre la sensazione del volo.

Tornando all’Amanita Muscaria, “si può ritenere che nel Medioevo le donne esperte in piante magiche la usassero per profetare. Congettura non infondata, se si pensa che l’amanita Muscaria era ed è il fungo ingerito dagli sciamani siberiani per iniziare il viaggio lungo la betulla cosmica”, scrive Cattabiani.
Possiamo trovare gli stessi rituali a base di Amanita nell’antico Messico, sugli altopiani abitati dai Maya; ve ne sono tracce tra i Toltechi e gli Aztechi e in altre parti del mondo.

Sul piano repressivo, in piena caccia alle streghe europea, la funzione simbolica e rituale di questo fungo interessò anche gli inquisitori e fu annoverata quale capo di imputazione in numerosi processi.
Ecco un esempio ricavato dallo  straordinario libro “Storia notturna” dello studioso Carlo Ginzbrg. In un processo mantovano della fine del ‘400, si parla di un tessitore, Giuliano Verdena, il quale testimoniò di aver visto affiorare sulla superficie dell’acqua, tra una schiera di persone in processione, una figura isolata che aveva detto di poter rivelare a Giuliano il “potere delle erbe e la natura degli animali” (potentiam herbarum et naturam animalium). In quella figura femminile Giuliano aveva riconosciuto la “signora del gioco” (domina ludi) “vestita di panni neri, col capo chino”.

Scrive Ginzburg: “La “signora del gioco “ di Mantova fa pensare a Oriente, la misteriosa signora notturna che i processi milanesi della fine del ‘300 descrivono circondata da animali, intenta a insegnare alle proprie seguaci le “virtù delle erbe”.

Il particolare del capo chino, nonché la compostezza del portamento e delle vesti, lascia pensare a una figura simbolica ben diversa dalle descrizioni di donne partecipanti al Sabba. Qui siamo in un ambito rituale differente, se pur drammaticamente rientrante nelle attività persecutorie iniziate con i processi per stregoneria e continuate fino al 1700. L’ambito, infatti, è quello divinatorio, legato alla preveggenza.

In Val di Fiemme, un’altra donna processata come strega, Margherita detta Tessadrella, dichiarò che la “donna del buon zogo” aveva due pietre intorno agli occhi, una “ligatura negra atorno el capo” che turava anche le orecchie “azoché non possa veder né odir ogni cosa”. Caterina della Libra da Carano confermò: “et tutto quelo che la odi o vedi bisogna che sia soa, se la pol”.

Si tratta quindi di una parziale limitazione dei sensi della “donna del bon zogo” riferita alla sola realtà circostante, limitazione che però le da modo di poter “vedere” ciò che invece è invisibile ai vivi. In ogni caso l’identità della tante versioni testimoniali in questo senso non è attribuibile all’intervento dei giudici. Dalla tradizione canonistica essi potevano apprendere, come in Val di Fiemme, il nome della “donna del bon zogo” (Erodiade), non il suo aspetto ne, tantomeno, identificare le sostanze da lei utilizzate per quelle che oggi potremmo definire le proprie “trance” divinatorie: l’assoluta astrazione dalla realtà circostante affine allo stato ipnotico. La principale tra queste sostanze era l’Amanita Muscaria.

foto: www.pianetagreen.com

Le imputate processate in Val di Fiemme descrivono la “signora del gioco” in modo particolareggiato sia nell’aspetto, sia riguardo al fungo incriminato. Molto interessante la descrizione fisica: “Una grande femmina brutta…che haveva una gran testa” (Margherita detta Tessardella), “una brutta femmina con camisotto negro et uno fazol negro, attorno al capo stranamente ligato (Margherita detta la Vanzina)” una brutta vecia disfazada femina, con fazol inbindato” (Bartolomea del Papo). Queste concordanze accompagnate da varianti marginali sono tipiche della trasmissione orale, commenta Ginzburg “ e ci tramandano una figura di donna non certo giovane, saggia, veggente, consultata non solo da altre donne ma da tutta la popolazione”.

“Uomini e donne, soprattutto donne, magari abitanti in sperduti paesi di montagna, rivivevano senza saperlo nei loro deliqui notturni, miti giunti a loro da spazi e tempi remotissimi”, ipotizza Carlo Ginzburg.
Certo è che, come afferma la scrittrice e giornalista franco-svizzera Mona Chollet, caporedattrice di Le Monde diplomatique, “la caccia alle streghe ha profondamente contribuito a segnare nelle coscienze delle generazioni future un’immagine fortemente negativa della donna anziana”, che, come abbiamo visto, era ben rappresentata simbolicamente dalla “signora del bon zogo”.

Certo, sono state bruciate streghe giovanissime, insieme a bambini, uomini e vecchi, ma le vittime predilette della caccia sono state le più anziane, considerate ripugnanti anche per il loro aspetto fisico e particolarmente pericolose a causa della loro esperienza” , afferma Chollet.
E conclude: “Il motivo per cui oggi si pensa che le donne col tempo avvizziscono mentre gli uomini migliorano…è in gran parte dovuto a queste rappresentazioni che continuano a ossessionare il nostro immaginario, dalle streghe di Goya a quelle di Walt Disney. La vecchiaia delle donne resta, in un modo o nell’altro, brutta, vergognosa, minacciosa, diabolica”.

Del mito dell’eterna giovinezza, atto a contrastare questo stigma e con il dovuto riferimento a  erbe e a processi, parleremo sicuramente un’altra volta…

Gloria Canestrini


Autore: Gloria Canestrini

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