Attualità, Persone & Idee

A proposito della pena di morte

di Ferdinando Camon

Leggendo “Oltre Gomorra” di Paolo Coltro con Nunzio Perrella,  in ogni pagina ho incontrato camorristi che restano camorristi da liberi, da carcerati, da ergastolani, ammazzano con facilità e non si pentono mai, e mi chiedo cosa si può fare con loro. L’ergastolo a loro non basta, perché anche da dentro continuano a uccidere.

Ma la condanna a morte per questa gente non è nella mia civiltà.

C’è un’altra storia in un film, intitolato ''Il segreto dei suoi occhi": un uomo amorale e asociale stupra e uccide una donna, ma dopo la condanna (siamo in Argentina, dittatura militare) si mette a collaborare con la polizia e torna libero. Il fidanzato della vittima lo scopre, lo cattura e lo chiude in un fienile, in un luogo dimenticato da Dio e dagli uomini. Segregato in uno sgabuzzino per decenni, lo stupratore-assassino diventa pazzo e implora il suo custode di ucciderlo, ma con la morte quello smetterebbe di soffrire e il custode questo non lo vuole, vuole che soffra per sempre, finché respira.

Il senso è: l’ergastolo è più crudele della fucilazione. L’ergastolo basta, anzi avanza.
La soluzione non è uccidere. Ma se siamo contro la pena di morte, dobbiamo essere anche contro l'ergastolo.
Che cos’è l’ergastolo? È una morte che non ha fine.

Ferdinando Camon
SCRITTORE

**

LA PENA DI MORTE E LE DONNE

(8 ottobre 2021) - Alla vigilia della Giornata mondiale contro la pena di morte del 10 ottobre, Amnesty International ha richiamato l’attenzione sulla situazione delle donne nei bracci della morte, alle quali viene negata giustizia per la prolungata violenza fisica e sessuale che hanno subito, che in molti casi ha preceduto e provocato i crimini per cui sono state condannate.

“Molte donne vengono condannate a morte al termine di processi superficiali e iniqui che non seguono procedure corrette né considerano circostanze attenuanti i lunghi periodi di violenza e aggressioni sessuali cui sono andate incontro”, ha dichiarato Rajat Khosla, direttore delle ricerche di Amnesty International.

“Condannandole a morte, i sistemi giudiziari non solo comminano una pena orribile e crudele ma fanno anche pagare loro il prezzo della mancata azione contro la discriminazione che hanno subito. Inoltre, la mancanza di trasparenza sull’uso della pena di morte fa sì che le storie che conosciamo siano solo la punta dell’iceberg”, ha aggiunto Khosla.

“Alla fine del 2020, 108 stati avevano abolito completamente la pena di morte. Il mondo sta rinunciando all’idea che gli stati abbiano il potere di negare il diritto di vita. Ma fino a quando ciascuno di loro non avrà abolito la pena capitale, la nostra campagna non avrà fine. Insieme possiamo contribuire a consegnare per sempre questa barbara sanzione ai libri di storia”, ha concluso Khosla.

In occasione della Giornata mondiale contro la pena di morte, Amnesty International lancerà la campagna #Ghanavoteforabolition, chiedendo al presidente del parlamento e al ministro della Giustizia dello stato africano di sostenere una proposta di legge per l’abolizione della maggior parte dei reati capitali.

Roma, 8 ottobre 2021

**

 

PENA DI MORTE. IL RAPPORTO 2021
calano, ma in alcuni stati aumentano le esecuzioni

(21.4.2021) -  È tempo di abolire la pena di morte: nel 2020 il Ciad e, negli Usa, il Colorado hanno abolito la pena di morte, il Kazakhistan si è impegnato ad abolirla ai sensi del diritto internazionale e nelle Barbados è stata cancellata l’obbligatorietà della condanna alla pena capitale. Secondo dati aggiornati ad aprile del 2021, 144 stati hanno abolito la pena di morte nelle leggi o nella prassi, 108 dei quali per tutti i reati: questa tendenza deve proseguire.

La pandemia da Covid-19 non ha comunque impedito condanne a morte. Sebbene il Rapporto di Amnesty International del 2020 mostri una tendenza globale verso la diminuzione dell’uso della pena capitale, alcuni stati hanno aumentato il numero delle esecuzioni, mostrando un patente disprezzo per la vita umana proprio mentre l’attenzione del mondo era concentrata sulla protezione delle persone da un virus mortale.

Tra gli stati che hanno messo a morte il maggior numero di persone figurano l’Egitto, che ha triplicato le esecuzioni rispetto al 2019, e la Cina che in almeno un caso ha applicato la pena di morte per reati relativi alle misure di prevenzione della pandemia. Negli Usa, l’amministrazione Trump ha ripristinato le esecuzioni federali dopo 17 anni mettendo a morte 10 condannati in meno di sei mesi. India, Oman, Qatar e Taiwan hanno a loro volta eseguito condanne a morte.

“La pena di morte è una punizione abominevole e portare a termine esecuzioni nel mezzo di una pandemia ne ha ulteriormente evidenziato la crudeltà" afferma Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.

I cinque stati in cima alla lista: Cina, Iran, Egitto, Iraq, Arabia Saudita. La Cina considera i dati sulle condanne a morte e sulle esecuzioni come segreti di stato e impedisce il monitoraggio indipendente. Pertanto, il rapporto di Amnesty International, che elenca le esecuzioni a essa note, non fornisce il numero della Cina. Si ritiene, tuttavia, che questo stato ogni anno metta a morte migliaia di prigionieri, collocandosi dunque stabilmente al primo posto. Seguono Iran (almeno 246 esecuzioni), Egitto (almeno 107), Iraq (almeno 45) e Arabia Saudita (almeno 27).

Questi ultimi quattro paesi si sono resi responsabili dell’88 per cento delle esecuzioni note nel 2020. L’Egitto ha triplicato le esecuzioni rispetto agli anni precedenti, collocandosi al terzo posto. Almeno 23 esecuzioni hanno riguardato casi di violenza politica e sono state precedute da processi clamorosamente irregolari, basati su “confessioni” forzate e altre gravi violazioni dei diritti umani come la tortura e le sparizioni forzate. Tra ottobre e novembre sono stati messi a morte almeno 57 prigionieri, 53 uomini e quattro donne.

Sebbene il numero delle esecuzioni in Iran abbia continuato a essere inferiore rispetto agli anni precedenti, nel 2020 la pena di morte è stata usata più frequentemente come arma di repressione politica contro dissidenti, manifestanti e appartenenti alle minoranze etniche, in violazione del diritto internazionale.

Gli Usa sono l’unico stato delle Americhe ad aver eseguito condanne a morte: a luglio l’amministrazione Trump ha ordinato la prima esecuzione federale degli ultimi 17 anni e cinque stati hanno eseguito sette condanne a morte.

Nel mondo Amnesty International ha registrato almeno 483 esecuzioni: il 26 per cento in meno rispetto al 2019 e il 70 per cento in meno rispetto al picco di 1634 esecuzioni del 2015. Sono i dati più bassi di esecuzioni registrate da Amnesty International in almeno un decennio. Questo calo è stato dovuto a una riduzione in alcuni tra gli stati mantenitori e, in minor parte, a sospensioni di esecuzioni a causa della pandemia da Covid-19. E' accaduto in Arabia Saudita e Iraq mentre nessuna esecuzione ha avuto luogo rispetto all’anno passato in Bahrein, Bielorussia, Giappone, Pakistan, Singapore e Sudan.

A livello globale, il numero delle condanne a morte note, almeno 1477, è diminuito del 36 per cento rispetto al 2019. Amnesty International ha registrato tale calo in 30 dei 54 stati dove sono state emesse condanne alla pena capitale, in diversi casi a causa di ritardi e rinvii nei procedimenti giudiziari a causa della pandemia da Covid-19.

Hanno fatto eccezione l’Indonesia, con un aumento del 46 per cento rispetto alle condanne del 2019 (117 contro 80) e lo Zambia (119 condanne contro 101), che ha segnato il record nell’Africa subsahariana.

www.giornalesentire.it - riproduzione riservata*

Commenti (0)

Articoli correlati