Attualità, Persone & Idee

Ferdinando Camon: La non banalità del male

''In realtà ci volle un sistema intelligente''

"Banalità del male" è una formula universalmente accettata, ma è sbagliata. Alcuni di noi (mi ci metto in mezzo) hanno sempre avuto qualche riserva sulle parole con cui Hannah Arendt definiva il sistema etico-culturale che guidava il lavoro di Adolf  Eichmann. Ci sembrava una formula riduttiva.

La ''banalità del male'' banalizza il male. Lo riduce. Toglie a quel male le dimensioni epocali che ne fanno un unicum nella storia. Si è discusso sul concetto di ''unicum'', qualcuno ha osservato che ci sono stati altri grandi massacri. Sì, ma non come questo: questo voleva eliminare una ''razza'', cioè modificare la composizione dell'umanità. Harendt ha coniato quella formula studiando Eichmann al processo, e osservandolo da vicino.  Imperturbabile e pignolo. Un automa. Un ottuso. Che ha l'aria di non capire quello che ha fatto. Eppure, ha visto le gasazioni in atto, e (dice nel processo) non gli sono piaciute, ma (nella vita) ha continuato come prima. Per inerzia. Atonia morale.

La Arendt mandava gli appunti del processo al giornale che l'aveva inviata (The New Yorker), e ''La banalità del male" fu la formula riassuntiva sull'imputato, il suo cervello, il suo sistema. Da noi quello è il titolo del libro della Arendt. Quella tesi viene contestata da un altro libro, uscito negli Stati Uniti. Poiché il titolo originale del libro della Arendt è "Eichmann in Jerusalem", Eichmann al processo, l'autrice tedesca Bettina Stangneth intitola il suo libro di risposta "Eichmann before Jerusalem'' com'era cioè prima del processo.

Eichmann catturato e portato in processo era un uomo dimesso, dalle risposte flebili, dallo sguardo braccato, dagli occhietti sfuggenti, spaventato dalla prospettiva della impiccagione, ineluttabile fin dall'inizio. Ha tutto l'interesse a presentarsi come ''stupido''. Ma questo non è l'Eichmann che ha fatto la storia. E' l' Eichmann che esce dalla storia. Esce banalmente, cercando una scappatoia che non c'è. Ma quando faceva la storia non era così.

Per vedere bene Eichmann e tutti gli altri che hanno lavorato con lui o sopra di lui (lui era un tenente colonnello) non bisogna collocarli sullo sfondo di un tribunale dove sono imputati. Loro non c'entrano con quello sfondo. Sono lì per errore, fallimento, sconfitta. Contro la loro volontà. La loro storia, la loro vita, la loro volontà, li colloca su un altro sfondo, ed è da questo che ricevono la giusta luce per essere osservati e capiti.

Tutti noi che abbiamo visto questo sfondo, vi abbiamo immaginato loro. Basta aver visto, nella sala del comando di un lager, le pareti piene di simboli: stella gialla, rettangolo rosso, rettangolo nero, che i prigionieri portavano sul petto. Rivelano la vastità dell'impero e delle ''razze'' che lo componevano. Guardandoli capisci che chi comandava l'impero, che fosse lì o a Berlino, doveva essere un artefice intelligente e attivo del meccanismo, non un esecutore ottuso. Se un meccanismo così gigantesco fosse stato gestito da funzionari ottusi, come vuole apparire Eichmann, atoni non-intelligenti, carrieristi, non avrebbe funzionato.

C'è intelligenza in quel funzionamento. Maligna, diabolica, ma c'è. Guardiamo su una carta il reticolare intrico dei binari che portavano là.... il numero dei campi sparsi per l'Europa... i numeri delle vittime... milioni dal sud Europa... milioni dall'est... i reparti che facevano quelle cose.... i volontari che s'arruolavano in massa, la fedeltà che mantenevano fino all'ultimo....

"Quel che ci viene chiesto di essere sovrumanamente inumani" spiegava Himmler. Quelli che gli hanno obbedito cercano poi, nei processi (Eichmann non è il solo), di nascondere nascondere la "sovraumana inumanità" sotto una apparente stupidità. E' un'astuzia. La loro ultima astuzia.


Autore: Ferdinando Camon

www.giornalesentire.it - riproduzione riservata*

Commenti (0)

Articoli correlati