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Camon Post ''Se non muori ti ammazzano''

Vecchi e Covid19 - L'ultimo libro è una riflessione sul valore della vita

di Ferdinando Camon - Mi lascia sbigottito e vendicativo che in questo periodo curiamo quelli che costano meno e lasciamo perdere i vecchi, perché costano di più.

Distinguiamo tra le morti “inaccettabili”, dei pazienti giovani e intelligenti, e le morti “accettabili”, dei malati vecchi, che hanno altre patologie o sono dementi.

Con questa giustificazione economica della morte muore la nostra civiltà. Ho scritto un libro su questo, che esce oggi, S'intitola: "A ottant'anni se non muori t'ammazzano". Bisognava fare questa denuncia.

Qualche tempo fa un ex deputato di “Scelta Civica”, Mario Sberna, guarito dal Covid, ha raccontato sul "Corriere della Sera" che era in un reparto dell'ospedale civile di Brescia con 30 pazienti e solo 3 bombole di ossigeno, tutti rantolavano, lì accanto a lui c’era un ottantenne che respirava bene perché attaccato a una bombola tutta sua, è entrata un’infermiera, ha staccato la bombola all’ottantenne e l’ha attaccata all’ex deputato, che subito si è sentito meglio. L’ottantenne è stato portato via (a morire?).

Sono convinto che un ospedale NON ha questo diritto. Il principio “se hai ottant’anni ti tolgono l’ossigeno” non può valere nella nostra civiltà.

27 agosto 2020

 

A ottant'anni se non muori t'ammazzano
FEDERICO CAMON

Edizioni  Apogeo
pagg. 90, euro 12

 

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Vecchi e coronavirus
La morte di un vecchio ha minore importanza? No

(28 febbraio 2020)  La mortalità tra gli ultraottantenni per coronavirus si aggira sul 14 per cento, ma è un dato che non si cita mai, nessuno lo conosce, lo conosco io perché mi riguarda. Sbagliano i giornali e le televisioni che non lanciano e non rilanciano questo dato.

I vecchi sono importanti, oso dire più dei giovani, i molto vecchi più dei molto giovani. I molto giovani sono uno spazio da riempire, uno spazio in cui la storia di domani scaricherà materiali che oggi non riusciamo neanche a immaginare. Chissà cosa ci sarà tra quei materiali (amori, bassezze, viltà, eroismi, egoismi, onestà, menefreghismi, genialità, idiozie... non sappiamo).

Ma qui dove sto scrivendo, e cioè a venti chilometri da Vo’ che è uno dei focolai del virus, corre con un certo rilievo la notizia che nell’altro focolaio, Codogno, il contagio sta toccando anche i bambini, dai 5 ai 15 anni. Nei bar non si parla d’altro. Perché se la malattia comincia a toccare i bambini, allora è una cosa seria, da combattere con tutti i mezzi, senza badare ai costi.

Il nostro amore per i bambini è  un amore cieco. Li amiamo a prescindere. Ma i nostri sentimenti per i vecchi non sono ciechi. Riusciti o falliti che siano, i vecchi hanno vissuto, e sono pieni di esperienze. Trattandoli con rispetto e con stima, noi rispettiamo e stimiamo le loro esperienze. Sono fragili, sono preziosi, sono antiquariato. Sono insostituibili. Un vaso nuovo, se lo rompi, ne prendi un altro tale e quale, ma un vaso antico non lo trovi più.

Ci fu una volta un medico disonesto, un ortopedico che impiantava protesi difettose, che producevano infezioni, malattie e perfino morte. Lui se ne fregava, a lui costavano poco, se le faceva pagare molto, lucrava sula differenza, e sperava di continuare all'infinito. La malattia non era un problema. La morte era un problema. Siccome i pazienti erano anziani, sopra i sessant'anni o settanta, lui quando uno moriva se lo scrollava di dosso con una battuta: «E quanti anni voleva vivere, novanta?»

Rispondo io: sì, certo, novanta e più, perché no? La vita è vita finché è vissuta in attesa di altra vita, quando è in attesa della morte fa parte della morte, è morte anticipata. Erano i filosofi esistenzialisti che vivevano «in attesa della morte», e battezzavano questo tempo fuori della vita in latino, in greco e in tedesco. Io sto pensando alla gente comune, come voi, come me, gente per la quale vivere significa essere vivo, e se sei vivo sei pieno di tutti gli infiniti doni della vita, compresi i litigi, le incomprensioni, i tradimenti, i perdoni, i ritorni, che tu abbia dieci anni o venti o ottanta.

Morire vuol sempre dire addio a tutto, e non è vero che il tutto a cui dai l’addio sia più vasto a vent'anni che a ottanta, e che perciò la morte di un ventenne sia una morte completa, mentre a ottanta muore solo quella porzioncina di vita che ancora resta.

La morte è sempre una perdita totale, uno di noi se ne va totalmente e per sempre, e piangendo su di lui noi in realtà piangiamo su di noi, sulla nostra fine. Non vorremmo mai che avvenisse. Ci sembra sempre che il tempo che abbiamo da vivere contenga ancora tutto. Una volta nati, vorremmo essere nati per sempre, non per alcuni anni.

Siamo tutti collegati, viventi con viventi, e ci sentiamo in pericolo se qualcuno comincia ad escludere qualcun altro, perché è malato, perché è scemo, perché è povero. O perché è vecchio. Non è che se qualcuno muore vecchio, non suona la campana. La campana suona comunque, perché suona per coloro che restano. E dunque se c'è questo 14 per cento di ultraottantenni che se contagiati se ne vanno, smettiamola di ignorarli.
Perché imbrogliamo noi, non loro.

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