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La grande guerra dai nostri inviati

Il libro di Pier Paolo Cervone tra storia e giornalismo (ed. Mursia)

Corona Perer - "Quando scoppia una guerra la prima vittima è la verità" disse Hiram Johnson, senatore degli Stati Uniti d'America. Si potrebbe commentare che gli Usa di bugie ne hanno dette tante ma almeno questo senatore... aveva detto la verità. Perchè la guerra è sempre fatta di verità parziali: tutti hanno ragione e tutti hanno torto. Il giornalista di guerra - che ha l'ingrato compito di raccontare i fatti con imparzialità - si trova in mezzo, a cercare di comporre e ricostruire i fatti. Naturalmente la sua non è mai una visione oggettiva per quanto egli desideri fare proprio questo.

"In guerra esiste un'unica verità incontrovertibile quella dell'uomo nelle estrema agonia della morte" afferma Domenico Quirico inviato di guerra della Stampa che firma la prefazione del libro di Pier Paolo Cervone dedicato ai giornali ai giornalisti che tra il 1915 e il 1918 ebbero il compito di raccontare la storia di una strage inutile.

Nel libro "La grande guerra dei nostri inviati - Giornali e giornalisti nel 1915-1918" edito da Mursia si parla proprio di questo e dei giornali che nel periodo della grande  guerra sono costretti a schierarsi. Esistono i neutralisti e gli interventisti. Il vero problema per il cronista che voglia fare seriamente il suo mestiere sarà superare la censura, che sulla stampa scatta già a marzo del 1915. Tutto attorno è stato creato un servizio di propaganda che fa naturalmente un altro mestiere:deve tenere alto il morale del paese. Sono i giornali di trincea che cercano di dire la verità.

Il cuore del lavoro di Cervone è dedicato ai reporter di guerra con profili, storie e avventure. Pier Paolo Cervone si concentra  sulla storia degli uomini che nell'estate del 1914, quando i primi venti di guerra soffiano in Europa, sono chiamati a raccontare il primo degli eventi di quella guerra ovvero l'attentato di Sarajevo. A quel tempo il nemico numero uno era la censura, rigorosa è micidiale, ma gli inviati partono e raccontano quello che succede sul Carso, sul fronte di ghiaccio che dallo Stelvio e dall' Ortles scende fino all'Adamello, sulle Dolomiti, il Pasubio e l'altopiano di Asiago.

Naturalmente le loro storie sono storie frammentarie e non possono descrivere la tragedia in dettaglio che è fatta di fango nelle trincee, di freddo a 3000 metri di altezza stenti con il morale dei soldati a terra e che deve fare i conti con il morale del paese che deve rimanere alto alto, sempre e comunque.

"Ci sono giornalisti e giornalisti" scrive Pier Paolo Cervone. "Quelli che rischiano di più ovviamente sono quelli inviati sui fronti di guerra. Questo mestiere non è affatto al tramonto perché di guerre purtroppo è costellato il mondo: occorre raccontarle, descriverle spiegarne la genesi e la sequenza tragica degli eventi" .

Ogni conflitto ha i suoi inviati più o meno gloriosi. Fra i secondi entra di sicuro Henry Crabb spedito Oltremanica con l'incarico di seguire le battaglie di Napoleone contro la Russia. Lui però se ne sta in retrovia ben distante dalle prime linee e confezionerà articoli "... senza passione senza sugo senza calore" scrive Cervone.

Il primo vero reporter di guerra è considerato William Russell, inviato dal Times sui campi di battaglia della Crimea. Parte da Malta nella primavera del 1854 a seguito del corpo di spedizione britannico, il conflitto è scoppiato già da un anno ed oppone gli eserciti Imperiali della Russia e della Turchia a cui si aggiungono Gran Bretagna, Francia, il piccolo Regno di Sardegna per volontà di Camillo Benso di Cavour.
Il giornalista pubblicherà un articolo memorabile già nel novembre del 1854 e la cronaca della Carica dei 600 a Balaclava. "... Prima ancora che si perdessero alla nostra vista, la pianura era punteggiata dei loro corpi... alle 11:35 non un soldato inglese restava davanti alla bocca dei sanguinari cannoni moscoviti". Una frase che gli costò moltissimo perché nessuno prima di lui  aveva osato intaccare l'immagine stereotipata e vanagloriosa dell'esercito di sua maestà. Ma Russell aveva rotto un mito così venne allontanato dalla prima linea, imboscato nelle retrovie. Fu il primo cronista di guerra colpito dalla censura.

Cervone spiega che nell'esercito dei coraggiosi va certamente annoverato Emilio Lussu, cagliaritano di nascita, ufficiale di Fanteria della Brigata Sassari e convinto interventista. Più volte decorato, descrive la guerra in "Un anno sull'Altopiano".

Il tenente Emilio Lussu ricostruisce solo un anno di situazioni tragiche e assurde meschinità dal giugno 1916 a luglio 1917. Il suo libro è antitesi alle opere di D'Annunzio che riveste di magie e di incanto l'ideologia della bella morte. "Nell'anno sull'Altopiano morti belle non se ne trovano per niente" ha scritto Carlo Della Corte. Lussu, una volta tornato dalla guerra, dopo l'8 settembre organizzerà la resistenza, sarà ministro del governo Parri nel primo gabinetto De Gasperi.

Il libro  si conclude con la storia dei 173 giornalisti caduti. "Le storie di tutti gli uomini che partecipano alla guerra sono inevitabilmente frammentarie che siano giornalisti o i testimoni diretti - spiega Quirico - ma i giornalisti  sono testimoni più degli altri: parlano, scrivono, filmano raccontano, cercano. Nel fervore dello scontro il loro tentativo è quello di restituire esperienze che restano spesso confuse indefinite".

Era dunque importante gettare un fascio di luce anche su di loro. È questo il merito del lavoro di Paolo Cervone che è stato capo servizio alla Stampa di Torino ed ha pubblicato numerosi saggi con Mursia dedicati alla guerra.


Autore: Corona Perer

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