Attualità, Persone & Idee

Intervista a Luciano Manicardi

''Gestire la cosa pubblica esige responsabilità della parola''

Cosa deve contenere la cassetta degli attrezzi del buon politico? Passione, etica della parola, immaginazione, creatività, coraggio. Solo così si può tornare ad una politica "decente". E come direbbe Max Weber “...chi è interiormente debole si tenga lontano da questa carriera...”.

A tracciare l'identikit del buon politico è Luciano Manicardi biblista, già Priore di Bose (dove ha raccolto la pesantissima eredità di Enzo Bianchi). Nel suo piccolo e preziosissimo saggio "Spiritualità e Politica" (Edizioni Qiqajon) Manicardi sostiene che senza una dimensione interiore e spirituale non si va da nessuna parte. Abbiamo approfondito il suo pensiero in questa intervista (dic.2020), che resta attualissima.

Il suo saggio dimostra che spiritualità e politica possono (anzi debbono) camminare insieme. Ciò presuppone essere anche religiosi o persone di fede?
No, non è necessaria una fede religiosa e un’appartenenza confessionale. Intendo spiritualità in senso anzitutto laico, come attenzione alla questione del senso, che abita ogni uomo, come ricerca e costruzione del senso del vivere, responsabilità. Coltivare l’interiorità è il primo passo per la costruzione e per la partecipazione feconda alla vita della polis, luogo dove si forgia la libertà e dove matura la forza di dire di no, dove si pensa l’oggi e si immagina il futuro. In questo senso nutrire una vita interiore è anche virtù del cittadino.

Lei muove dalle riflessioni di Hanna Arendt: cosa disse la filosofa al riguardo?
Secondo la Arendt, la pluralità e la diversità degli uomini sono i due elementi da cui scaturisce la politica. Il “tra”, lo spazio infra, dice la Arendt, è l’elemento che da cui nasce la politica  che si configura così come relazione. Questo spazio è l’agorà, la scena pubblica, ed è lo spazio vuoto, l’intervallo, la distanza tra le persone. Governare pluralità e diversità degli uomini garantendone la libertà è il compito della politica. La sottolineatura che io ho posto nel mio libro sulle dimensioni dell’immaginazione, della creatività e del coraggio, va nella direzione di una concezione della politica come capace di far nascere qualcosa di nuovo nel mondo.

La politica oggi è divenuta annuncismo. Lei parla di “etica della parola”. Cosa intende?
La democrazia viene corrosa anzitutto con la corruzione delle parole. E innumerevoli sono gli esempi di corruzione della parola in forma di menzogna, di calunnia, di violenza, di adulazione, che hanno inficiato il discorso pubblico e, in particolare, il discorso tenuto da responsabili della cosa pubblica in Italia e all’estero in questi ultimi decenni. La responsabilità della cosa pubblica esige la responsabilità della parola. Indico quindi nel ritrovamento di un’etica della parola la via necessaria per uscire da una politica “gladiatoria” e per farle ritrovare la sua dimensione relazionale. Dimensione che nel dialogo trova un momento centrale e irrinunciabile.

Che cosa - secondo lei - ha determinato la cattiva politica?
Un aspetto della crisi culturale che viviamo oggi è il vuoto etico che riguarda le relazioni, il management, la dimensione organizzativa, il senso della persona, e anche il senso del sé. Se alla radice di una cattiva politica vi è una cattiva cultura, dietro a comportamenti politicamente scorretti ed eticamente inammissibili, per esempio, dietro alla corruzione che invade lo spazio politico e amministrativo, vi è una profonda carenza culturale che non consiste tanto nell’individualismo diffuso o nell’idea che il bene morale coincida con il perseguire il proprio interesse, ma più radicalmente nel fatto che oggi la gente non conosce quale sia il vero interesse e non sa amare se stessa. C’è un’ignoranza che riguarda se stessi e che si riverbera in azioni che hanno come fine il conseguimento di interessi economici o di potere o di carriera. Questo ci riporta a sottolineare che quel  “tra” che riguarda le relazioni interpersonali e sociali e che segna lo spazio politico, deve essere completato con il “tra” che ogni persona vive con se stessa.

Immaginazione, creatività, coraggio sono manifestazione di vita interiore?
Certo, si tratta di dimensioni attinenti alla vita interiore della persona, ma che hanno decisivi riflessi sull’ambito relazionale, sociale e politico. In tempi confusi, in cui non è facile leggere l’oggi e discernere il futuro, l’immaginazione è la facoltà che comincia a dare forma a realtà possibili. Essa parte dall’esistente, ma immagina, cioè, dà forma mentale a tipi di presenza. L’immaginazione ha una dimensione profetica ed apre orizzonti di speranza e di futuro. La creatività è la capacità di vedere la realtà e di rispondervi, quindi implica l’immaginazione. Ma chiede anche la forza di agire tentando soluzioni inedite ai problemi, dunque, richiede coraggio, un’energia che fa passare dall’intenzione all’atto un gesto rischioso, andando oltre il calcolo razionale delle perdite che esso può comportare.

Lei afferma: non è che la gente sia troppo egoista, semplicemente non sa occuparsi dell’interesse del suo vero io. Oggi i social esaltano l’ego e riducono tutto all’apparenza: come fare?
L’attuale ideologia o idolatria della comunicazione, soprattutto nella forma dei social, che spesso veicolano una comunicazione inutile, futile e narcisistica, sicuramente senza argomentazione, non aiuta la profondità e il lavoro faticoso di conoscenza di sé. Ma bisogna anche chiedersi quanto a lungo potrà durare questa vague che, percorrendo la via della facilità e della rapidità, ha invaso anche il campo politico senza essere di vero aiuto alla politica stessa, anzi.

E veniamo a Weber e alla politica come professione. Può essere solo uno dei mestieri o deve necessariamente essere passione, istinto, vocazione?
La parola tedesca usata da Weber nel suo saggio La politica come professione è Beruf che significa sia professione che vocazione. Potremmo usare l’espressione “professare la politica” per indicare l’unità fra professione e professione di fede, fra mestiere e credenza, e soprattutto per unificare le due dimensioni della responsabilità e della convinzione che sono le due etiche o dimensioni dell’etica sottolineate da Weber nel suo saggio. Passione e convinzione sono essenziali all’azione politica che pure deve conoscere razionalità e prudenza, pazienza e saggezza, perché solo ciò che è mosso da desiderio e da passione coinvolge pienamente la persona che si dedica totalmente alla causa. Allora il politico non sarà un mestierante, ma un testimone.

Lei analizza la solitudine del capo quasi come una condizione necessaria che sfocia in ascesi, e cita Gandhi. A me vengono in mente figure ispirate come De Gasperi, Moro, Martinazzoli. E’  possibile dedurre che la dimensione religiosa (intesa come appartenenza a una fede) sia in qualche modo un pre-requisito?
No, non credo che sia un pre-requisito. Ciò che è richiesto è la qualità umana della persona, che può trovarsi in uomini e donne non credenti come in persone credenti. Come ho già detto, è necessaria una fede, ma non necessariamente nello spazio religioso. È però vero che una seria assunzione del vissuto di fede può plasmare uomini capaci di rigore, di profondità, di ascesi, di discernimento, di saldezza. Se la dedizione alla politica esige passione, senso di responsabilità e lungimiranza, essa richiede anche un rigoroso esercizio al governo di sé e delle proprie passioni per acquisire forza e autorevolezza. E magari l’assunzione di quella virtù che si chiama coerenza. Weber ricorda la tentazione della vanità da cui il politico si deve guardare pertanto, conclude Weber: “chi è interiormente debole si tenga lontano da questa carriera”.

Quale esperienza politica si è avvicinata alla via da lei indicata nel suo libro?
Non penso a un’esperienza politica specifica, ma a istanze che ogni democrazia dovrebbe tener presenti per realizzare quella che lo studioso israeliano Avishai Margalit chiama “società decente”. Anche le democrazie, infatti, possono conoscere e attuare forme di ingiustizia e discriminazione. La “decenza” della società consiste nel rifiutare di umiliare e di trattare gli esseri umani come non-persone, negando o diminuendo il loro statuto umano. Luoghi della decenza o meno di una società sono ad esempio il sistema sanitario, il sistema giudiziario, il sistema carcerario. Va ricordato che molti atti possono umiliare gli individui senza violarne i diritti: anche la burocrazia può essere umiliante, basata com’è su relazioni spersonalizzate, insensibile all’unicità di ogni persona.

Quale è l’essenza dell’umiliazione, ossia come agisce?
Umiliazione è l’indifferenza che riduce le persone a ‘casi’ da affrontare: un numero in una lista, una firma liberatoria, una richiesta di ammissione, un modulo da compilare, un corpo da sottoporre a indagini. Le relazioni tra cittadino e istituzioni possono essere l’ambito in cui l’individuo “resta senza volto, senza per questo rimanere senza diritti” (Paul Ricoeur). Una politica che assuma queste attenzioni diviene una politica dei volti, attenta alla dignità della persona e alla giustizia.

Per portare decenza nella politica cosa serve anzitutto?
Ritengo che, per occuparsi “decentemente” di politica, sia fondamentale nutrire la passione per l’umano, e in particolare essere sensibili alla sofferenza altrui, essere capaci di empatia, di “sentire l’altro”. Questa passione per l’umano amerei declinarla, con Simone Weil, come attenzione all’attesa di bene che abita invincibilmente ogni persona e sensibilità nei confronti della domanda angosciata “perché mi viene fatto del male?”. Solo persone che sanno ascoltare questo grido e sono ferite dalla sofferenza patita da altri, possono creare relazioni rispettose dell’altro, possono entrare in rapporti in cui è fondamentale l’ascolto dell’altro uomo,  tentare di elaborare politiche di accoglienza e di riconoscimento dell’umanità dell’altro, possono lavorare a normative e legislazioni che tutelino l’uomo nei suoi diritti, possono impostare azioni di carità e di giustizia che rispettino l’altro nella sua  unicità, possono intessere rapporti che anche sul piano sociale evitino l’umiliazione dell’altro.


Autore: Corona Perer

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