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Lo sport ai tempi del Covid19

I protocolli: cosa si può fare e cosa no

di Manuel D'Elia - Dopo più di sei mesi di pausa forzata, il mio gruppo di pallavolo è finalmente tornato ad allenarsi.
Siamo un gruppo eterogeneo, che si ritrova un paio di volte in settimana per quelle che sono partite amichevoli, ma combattute. Età: dai 18 ai 70 anni. Mi rendo conto solo ora, mentre scrivo, che mi avvicino ormai più al limite superiore che a quello inferiore. Dannato tempo che passa...
Comunque, come dicevo, abbiamo ripreso. E ho avuto modo di assistere in prima persona al castello di incongruenze generato dalla psicovid (psicosi da covid, termine che mi sono appena inventato e che provvederò subito a registrare).
Arrivo e fuori dalla palestra, quindi all'aperto, c'è il capannello di giocatori che aspetta il detentore delle chiavi. Tra questi, alcuni portano la mascherina a coprire naso e bocca.
Mascherina che ovviamente si tolgono per giocare, in uno spazio chiuso (la palestra), nel quale si trovano a contatto ravvicinato con gli altri giocatori, che corrono, ansimano e sudano in un tripudio di aerosol.
Durante il gioco non ci si "da il 5" o pacche sulle spalle, per evitare i pericolosi contatti personali.
Però "pugno contro pugno" si può, o comunque capita di farlo. Non escludo che il CTS, nelle varie linee guida, abbia stabilito che il palmo della mano è contagioso, mentre falangi e nocche non lo siano. Non mi stupirebbe poi molto.
Dopo meno di mezz'ora di gioco il pallone è fradicio di sudore. Lo prendiamo in mano, ce lo passiamo, ci giochiamo. Non viene percepito come un rischio.
Tra i giocatori, c'è chi sostiene che le scuole superiori non avrebbero dovuto riaprire. Non tanto per salvaguardare i giovani, che rischiano poco o nulla, ma piuttosto gli anziani con cui verrebbero successivamente in contatto dopo essersi contagiati (nonostante tutte le misure cautelative messe in atto dalle scuole).
Lo stesso, però, è venuto a giocare a pallavolo in un gruppo in cui gli stessi "anziani" non mancano, contando persone intorno ai 70 anni. E a scuola il sudore non ce lo si passa uno con l'altro, a pallavolo sì.
Al termine delle due ore di gioco, ci si cambia al volo e via verso casa, le docce sono proibite.
In qualche modo è passato il concetto che, al fine di tutelare la salute, è più opportuno uscire ancora sudati, in autunno (e poi in inverno, se nulla cambia), invece che farsi una doccia e asciugarsi i capelli. Un toccasana per combattere i raffreddori.
Non vorrei essere frainteso: questa non è certo una critica verso i miei compagni di gioco.
E' una critica verso un sistema di regole schizofrenico che genera situazioni grottesche. E verso sei mesi di terrorismo mediatico che evidentemente ha dato notevoli frutti.
Sono sempre più convinto che i posteri guarderanno al 2020 come l'anno nel quale la ragione si è presa una bella vacanza. Speriamo torni riposata e pronta e riprendere il suo ruolo nel mondo.


Autore: Manuel D'Elia

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