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Andrew Doyle, sulla libertà di parola

"Incombe un brutto pericolo: il totalitarismo dei buoni''

“Nessun individuo può “possedere” un’idea; tutto ciò che può fare è articolarla più o meno correttamente”.  A dirlo è Andrew Doyle che nel suo saggio "Libertà di Parola" edito da Piano B.

Come dire: le certezze non esistono, e peggio di esse sono i dogmi. Il saggio analizza la libertà di espressione come fondamento di tutte le altre libertà e ha un interessante sottotitolo: "Sul totalitarismo dei buoni". Sì, perchè, a fin di bene si sta scivolando in un "buon totalitarismo".

Negli ultimi anni una nuova forma di attivismo per la giustizia sociale,  percepisce il linguaggio come potenzialmente violento, perciò ha suscitato un dibattito nazionale sui limiti di un linguaggio accettabile. I governi di tutta Europa hanno emanato legislazioni per frenare la diffusione di idee discutibili, i giganti della tecnologia collaborano per garantire un controllo. E tutto questo rappresenta una minaccia alle libertà.

''La libertà di parola è il midollo della democrazia'' afferma lo scrittore, drammaturgo e satirico nordirlandese, autore di numerosi libri e commedie, che nel 2018 ha creato su Twitter l’account-parodia di Titania McGrath, una fantomatica attivista per la giustizia sociale, che in breve tempo ha raggiunto oltre un milione di follower.

In questo libro incisivo e affascinante, Andrew Doyle offre una difesa tempestiva e solida di questo principio fondamentale. "Libertà di parola: sul totalitarismo dei buoni'' con prefazione di Davide Piacenza, è un libro erudito e succinto. Un libro che graffia.

“Non c’è alcuna contraddizione nel disprezzare un individuo per le sue idee ripugnanti e allo stesso tempo difendere il suo diritto di esprimerle” afferma Andrew Doyle, che collabora con la BBC, «The Independent» e «The Sunday Times».

La domanda che si pone Doyle è semplice: come dobbiamo reagire quando chi vuole privarci dei nostri diritti crede sinceramente di doverlo fare per il nostro bene? Quando coloro che anelano a una società più giusta invocano allo stesso tempo anche più censura. E' così che ci ritroviamo di fronte a un fenomeno strano e confuso: il buon autoritario.

''La difesa della libertà di espressione non appartiene a una politica di destra o di sinistra: è saggio difendere coerentemente il diritto di tutti a parlare liberamente, indipendentemente dal fatto che si approvi o meno ciò che essi hanno da dire''. Ma una volta concessi allo Stato dei poteri di censura, essi possono essere applicati incautamente e in modi del tutto imprevisti.

Un esempio? La legge  sull’ordine pubblico promulgata dal parlamento inglese nel 1936 per vietare le sfilate fasciste e poi utilizzata per reprimere l’attivismo di sinistra, e  per arrestare i minatori in sciopero alla metà degli anni Ottanta.

La riflessione che l’autore ci invita a fare è che i pericoli di dare allo Stato il potere di determinare i limiti della libertà di espressione, possono superare di gran lunga il rischio che piccoli gruppi di estremisti tentino  di fare proselitismo. In fondo, sostiene Doyle, impedire alle persone di esprimersi come meglio credono rappresenta invece la più grave minaccia per la coesione sociale.

"Porre dei limiti alla libertà di parola per migliorare la tolleranza è come cercare di spegnere un incendio con la benzina". E cita Thomas Paine:  “Chi vuole rendere sicura la propria libertà, deve proteggere dall’oppressione anche il suo nemico; poiché se viola questo dovere, stabilisce un precedente che si estenderà a lui stesso».

Se la paura della libertà di espressione è che questa faciliti la diffusione di idee sbagliate, significa che si è già deciso a priori quali idee siano lecite. Così facendo, viene limitata la capacità di essere messi in discussione, di avere opinioni diverse. Abbiamo tutti il diritto di esprimere una disapprovazione o di avere opinioni considerate oltre i limiti del sentire comune. È questo, dopotutto, il modo in cui si sviluppa e si mantiene il contratto sociale.

Criticare non significa censurare. Le violazioni della libertà di parola si verificano quando una delle parti adotta strategie per mettere a tacere l’altra – una caratteristica comune dell’odierna cancel culture  – un metodo generalmente messo in moto dal tam-tam dei social network. La cancel culture è una mutazione del politicamente corretto che mira a sorvegliare il linguaggio e il pensiero. È una sorta di autoritarismo soft che, nel tentativo di mitigarne gli effetti esaspera i problemi di divisione e intolleranza.

Internet è ormai il canale attraverso il quale si condividono le idee nell’era digitale, e finché piattaforme come YouTube, Facebook e Twitter resteranno egemoni, dobbiamo riflettere attentamente su come garantire che la libertà di espressione non venga messa a repentaglio. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è che alcune potenti aziende, che esercitano un oligopolio sui luoghi di dibattito pubblico, inizino a pensare al posto nostro.

E per questo dobbiamo ringraziare le riflessioni di uno dei pensatori contemporanei più vivaci della Gran Bretagna. 


Andrew Doyle
"Libertà di parola: sul totalitarismo dei buoni''
Piano B
158 pagine,  15 euro

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