Arte, Cultura & Spettacoli

Édouard Manet genio indipendente e libero

di Anna Lorenzetti

Quando si visita la Gare d'Orsay a Parigi, la stazione ferroviaria che oggi è divenuta il tempio incontrastato della pittura ottocentesca francese, travolti da tanta bellezza, sopraffatti da mille emozioni, sfiniti dagli scarpinamenti in mezzo ad una folla anelante alla prima fila davanti ai capolavori, cerchiamo un rifugio, un piccolo approdo di tranquillità, un angolo sereno via dal tumulto. Niente, neanche una sedia! Ma un divanetto esiste, lo so per certo: proprio davanti a lui. Lo si deve guadagnare,  ma poi ci si può sedere ad ammirare quello che venne appellato "Le dejeuner sur l'erbe" .

È straordinario: ora è consacrato come il più gran capolavoro della sua epoca. Mi sono sempre detta: "Peccato che lui non lo sappia" dopo che aveva faticato non poco per far accettare le sue opere a giurie intransigentemente ottuse che puntualmente le rifiutavano. Ma chi è questo lui? E' il grande Édouard Manet il ragazzo che aveva lottato prima con i diktat del padre che lo avrebbe voluto magistrato e poi con la società perbenista che non capiva ed addirittura sbeffeggiava i suoi lavori. Ma lui testardamente, coerentemente aveva proseguito nell'intento di diventare un pittore nella ferma certezza della validità delle sue opere.

Nell'unico desiderio di ottenere il riconoscimento dei propri meriti e senza nessun proposito di scandalo, aveva continuato per tutta la vita a proporsi ai Salon e a vedersi rifiutato l'ingresso. Manet aveva perseguito il successo sempre nell'alveo istituzionale, fermamente convinto che il consenso andasse ricercato nei luoghi deputati diceva: "il Salon è il luogo di battaglia, è lì che bisogna misurarsi" perfettamente in linea con gli assunti del grande Courbet che asseriva: "fai quello che vedi, che senti che vuoi" ed il giovane Eduard maturò il proposito di voler dipingere con grande aderenza alla realtà senza coinvolgimenti sentimentali, ideologici o politici.

Fondamentale anello di congiunzione tra i realisti e gli impressionisti, indipendente e libero, fin dagli esordi si prefigge di fissare sulla tela  la fremente realtà della metropoli moderna, tenera e sfacciata, maturando uno stile molto diretto, scevro da ogni regola accademica. Lui che l'Accademia la conosceva bene avendo frequentato per ben sei anni l'atelier del pittore Coutur ed essendone scappato dopo innumerevoli liti.

Rifiutava gli atteggiamenti di vuoto accademismo ma non la lezione degli antichi tanto che le sue opere sono un continuo omaggio alla sapienza dei grandi, da Giorgione a Tiziano, da Velasquez a Goya. Ma allora cosa c'è di repellente in questi suoi quadri sì da essere reputati sconvenienti? Tutto: dalle tematiche alla tecnica, nulla poteva essere accettato dai meticolosi parametri vigenti.

I soggetti scelti erano brani di vita della società moderna disinibita e sprezzante (vedi l'Olimpia), svolti con uno stile che non definisce coerentemente le prospettive, abolisce gli effetti di plasticità ed ignora la simulazione tridimensionale. Questa cosciente scelta di bidimensionalità, accresciuta dalla linea nera di contorno e dalle pennellate compatte e lisce dimostra una sicura conoscenza delle stampe giapponesi, così popolari presso gli artisti della Parigi nella seconda metà dell'ottocento ma è reputata carenza di ingegno.

L'abolizione poi delle sfumature ed il prediligere gli audaci contrasti di luce ed ombra era segno di poca sapienza tecnica. Ma Édouard Manet perseguendo testardamente il consenso si cimenta anche in tematiche storiche come "L'esecuzione. dell'imperatore Massimiliano" un'opera di scottante attualità. Manet non esporrà nel '74 nella storica esposizione impressionista presso lo studio del fotografo Nadar, non esporrà mai con i nuovi giovani pittori, rimanendo sempre ai margini come fervido ammiratore e sostenitore. Tutta la vita aveva lottato contro la sifilide contratta in gioventù e fu questa subdola malattia che lo portò alla morte dell'aprile del 1883 a soli 51 anni.


Autore: Anna Lorenzetti

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