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Luigi Casanova: ''L'Italia si salva dalla Cima''

L'ambientalismo del sì - intervista ad un autentico attivista

(testo e foto copertina © Corona Perer) - "La montagna si cura dalla cima" dice Luigi Casanova, uno dei rappresentanti più noti dell’ambientalismo alpino. Di origine bellunese e trentino di adozione per una vita è stato custode forestale nelle valli di Fiemme e Fassa.  E' stato a lungo vice presidente di Cipra Italia ed ha guidato per anni Mountain Wilderness Italia  della quale oggi è preesidente onorario. Rappresenta il Movimento Nonviolento e collabora con Italia Nostra, WWF e Forum della Pace. La sua vigile attenzione a preservare la montagna lo ha portato a scrivere un libro che è un po' una summa della sua visione perchè mette al bando i clichè che vorrebbero tra gli ambientalisti solo persone che dicono no, a priori. La sua è proprio un'operazione per rispondere alle accuse di chi ritiene l'ambientalismo il ''partito del no". 

Il libro si apre con un pensiero a Alessandro Langer al quale il libro è dedicato.

"Mai come oggi sono necessari ponti e alleanze coerenti" scrive e Luigi Casanova conosce bene la dinamica che scatta quando si costituicono dei fronti e anche il valore della dialettica, l'ascolto delle voci contrapposte, la ricerca della mediazione ma anche lo sforzo di chi non può transigere a comodi compromessi. Definisce questo libro un lavoro collettivo: i contributi sono stati elaborati da gruppi numerosi, associati fra loro e da decine di persone.

Le menti che accompagnano Casanova sono quelle di Paolo Cognetti (che firma la prevenzione) poi Giuseppe Dematteis, Carlo Alberto Pinelli, Lucia Ruffato, Vanda Bonardo, Mirta da Pra Pocchiesa, don Luigi Ciotti e il vescovo di Belluno, mons. Marangoni, Federica Corrado.
Di pagina in pagina si parla di parchi e prati aridi, schianti e cambiamenti climatici, gestione dei corsi d'acqua e innevamento artificiale, centraline idroelettriche ma anche di buone pratiche e di chi ha visione profetica come Don Luigi Ciotti e il suo appello alla Laudato SI. E non possono mancare temi come il dissesto idrogeologico, le alluvioni e quei grandi eventi sportivi che se da un lato promuovono la montagna dall'altro rischiano di sfregiarle il volto in nome di una logica di marketing che fa a pugni con la custodia del creato. E Casanova che oltre all’impegno pubblico, ha tra i suoi desideri  boschi integri e habitat preservati dalle logiche d'uso dell'uomo, non ha mai mancato di far sentire la sua voce. Lo abbiamo intervistato in occasione dell'uscita di questo libro che, spera Casanova, vuole indicare un percorso: perchè quando l'ambientalismo nazionale e locale fa sentire la sua voce e magari scatta un "no", dietro c'è una visione diversa di società che andrebbe ascoltata.

Casanova, con questo libro lei dimostra che gli ambientalisti non dicono solo no. Quali sono le condizioni che permettono di dire sì ai progetti di sviluppo della montagna?
La prima condizione ormai è definita a livello internazionale. Non si deve consumare un metro quadro di suolo in più, si interviene solo laddove si riqualifica, a livello ambientale, o paesaggistico, o valoriale (storico e identitario). La seconda condizione è ancor più impegnativa, ma necessaria: non possiamo più solo permetterci di mantenere integra la biodiversità, dove possibile la dobbiamo potenziare con la conservazione attiva del territorio, concetto che ancora l'ambientalismo non ha ovunque accettato di affrontare. Si tratta di agire sul territorio, valorizzando la scienza non asservita al potere, oltre a migliorare la situazione presente si creano opportunità di lavoro, sia intellettuale che manuale.

La montagna si salva dalla cima. Come  è venuto in mente questo bellissimo titolo?
Nasce dal mio vissuto. La montagna letta dalle alte quote. Dalle altezze l'ho vista degradarsi qualitativamente (ghiacciai e non solo), ho visto l'innescarsi di franamenti inconsueti. Dalle vallate ho visto l'originarsi delle grandi alluvioni, da bambino nel bellunese (1966) e prima ancora il Vajont (1993): nei miei occhi ho sempre impressa la fotografia della grande spianata di fango di Longarone, mi ci avevano portato le suore. E poi Val di Stava, la Valtellina, le annuali sciagure in Liguria. La montagna gestita con superficialità, molte volte con arroganza, raccoglie in quota i nostri errori e li trasporta a valle, come vuole lei, il più delle volte devastando, fino nelle grandi pianure europee, si pensi al Reno, o al Danubio, del Po abbiamo conoscenza diretta.

Che sogni fa un ambientalista sulla montagna?
Vorrebbe una montagna coltivata, lavorata con umiltà, con le mani nella terra e non con le grandi escavatrici, perchè ci aiuta a regimare acque, a strutturare boschi forti, pascoli ricchi di biodiversità e corsi d'acqua più sicuri. Un grande progetto che meriterebbe attenzioni che non vedo all'ordine del giorno della nostra politica, troppo tecnologica e supponete. Non è un caso che il mese scorso il ministero dell'ambiente sia stato abolito.

Quali sono i versanti montani più a rischio?
Tutti i versanti montani sono a rischio, specialmente in Italia dove la politica è priva di un progetto per le montagne (sempre al plurale, sono diverse fra loro, sono fonte di ricchezza grazie a questo aspetto). Gli osservatori dell'ONU ci dicono che dalle montagne del mondo ci sarà una fuga, causa i cambiamenti climatici in atto e i conseguenti eventi estremi sempre più frequenti. Entro il 2100, cioè domani, la vita dei nostri nipoti, ci saranno oltre 900 milioni di profughi dalle montagne del pianeta. Dove andranno? Quali sconvolgimenti creeranno? Come si modificherà l'offerta della risorsa idrica con la riduzione drastica dei ghiacciai? A queste domande non sento risposte. In Italia,  illuminati climatologi ambientalisti, ci dicono che la montagna ritornerà protagonista di vita e sviluppo, una fuga dalle città verso le alte quote.

Sarebbe un bene...no?
Dovesse accadere, e accade già, io sono preoccupato, sarà una montagna che verrà espropriata dai cittadini (non ambientalisti), causa la fuga dalle città bollenti, in assenza di un progetto nazionale che gestisca questa migrazione. E' possibile che gli attuali montanari, dove rimasti tali, non certo nelle ricche Dolomiti, penso più nell'Appennino, divengano i nuovi servitori del mondo intellettuale e borghese, una popolazione rurale succube della cultura cittadina, in assenza, almeno oggi, di servizi adeguati, assistenza sanitaria, formazione scolastica e del lavoro, cura della montagna e delle sue risorse.

Per salvaguardare la montagna dai quad lei sta subendo anche un processo. Come stanno le cose?
Certo, sto subendo un processo perchè con fermezza, grazie all'impegno della mia associazione, mi sono opposto al raduno annuale dei quad nell'area di Falcade (2017 e seguenti). Si tratta di una querela azzardata, costruita solo per intimidire chi porta pensiero e azione diversa. In tanti tavoli mi sono impegnato per fermare i motori in quota, eliski e eliturismo, motoslitte, quad e raduni di jepp, nella Fondazione Dolomiti UNESCO come in provincia di Trento, in Parlamento fin dal 1998. Enti pubblici che poi hanno tradito la loro mission, istituzioni prive di energia e coraggio, prive di visione in tempi lunghi, quando non succubi dei poteri dei economici di chi sostiene l'assalto dei mezzi a motore alle montagne.

Detto questo come sta la militanza ambientale?
La militanza ambientale è impegnativa, costosa sia in termini di tempo e a livello economico, travolge una famiglia, travolge il lavoro, è difficile resistere nel tempo. Si tratta di volontariato assoluto. Se tempo fa i militanti erano personaggi quasi elitari, o provenienti dal mondo scientifico (una grazia) o come nel caso di Mountain Wilderness dai vertici assoluti dell'alpinismo, oggi è diverso. Essere militanti significa studiare, adattarsi alle situazioni, essere capaci di strategia e di tattica, saper ascoltare chi lavora e non ci capisce anche perchè la stampa non ci aiuta (si pubblica quando l'ambientalismo attacca, alza le asticelle della radicalità, mai quando riflette o propone).

I giovani però sono sensibili a queste tematiche... 
Ci sono molti giovani attivi, specialmente nei comitati, vivono diffidenza verso le grandi associazioni. Probabilmente, non sempre, sbagliano, ma matureranno e saranno i nuovi dirigenti di un grande movimento internazionale, fra poco tempo. Oggi l'ambientalismo ha bisogno di rompere confini e costruire alleanze, non è facile, ci vorrebbe un effetto moltiplicatore del pensiero e dell'agire di Alessandro Langer. Alleanza e radicalità saranno due parole cardine dell'ambientalismo. Non è casuale che a Langer io abbia dedicato il mio libro.

Finiti i mondiali a Cortina avete fatto un sit-in per protestare contro la colata di cemento in arrivo. A vostro avviso in caso come questi esistono margini di manovra per mitigare gli impatti?
Non appena vinta dall’Italia la candidatura delle olimpiadi invernali 2026 ho lanciato la proposta di incontrare, da subito, 2019, gli organizzatori dell'evento. I miei amici ambientalisti, specie oltralpe, molto oltranzisti e supponenti, mi hanno prima attaccato e poi isolato. Come prevedevo questa decisione del No assoluto ci ha isolati e le decisioni sugli appuntamenti olimpici le stiamo subendo, rincorrendo il sommarsi di follie e sprechi di denaro pubblico e ambiente con una grandinata di NO.

Quindi serve la via del dialogo, del sedersi al tavolo dei decisori per non subirne le scelte...
Io penso che già ieri l'ambientalismo italiano fosse maturo per un percorso diverso. Ovviamente da posizione di fermezza. Ho perso. Comunque seguo i miei compagni di viaggio anche se ancora non sanno comprendere quando è il momento della ricerca del dialogo e  quando è il momento del conflitto. Non mi pare che nel mio agire e nella mia storia abbia sminuito il valore del conflitto, fin da ragazzo. Nel 2019 abbiamo perso una occasione storica per essere protagonisti sul tema dei grandi eventi sportivi internazionali: non complici, ma interlocutori di alto profilo.

Ma le Dolomiti Unesco sono davvero tutelare o si tratta solo di un brand, utile tuttalpiù per operazioni di marketing?
Dolomiti UNESCO è stato uno dei grandi sogni di Mountain Wilderness International, assieme al Parco internazionale del Monte Bianco e al progetto PEACE (Parco Europeo delle Alpi centrali). Gli ultimi due progetti sono ibernati (mentre i ghiacciai di quei straordinari monti si sciolgono...), il primo lo abbiamo raggiunto. E' stata una vittoria di Mountain Wilderness, anche se non ci viene riconosciuta. La storia del giorno per giorno sta nel mio archivio. Dal 2009 (e prima) ci siamo impegnati in mille confronti, abbiamo avanzato proposte su tutti i temi, compreso lo sviluppo. Abbiamo sempre richiesto con voce alta, coerenza con gli obiettivi conservativi del patrimonio.

La Fondazione riesce a destreggiarsi come vorreste?
La Fondazione, causa una debolezza politica indicibile, subisce le mille esigenze aggressive delle diverse realtà, Bolzano, Trento, Belluno, molto meno dal Friuli: ha fallito il suo scopo. Lo abbiamo denunciato con un dossier che abbiamo portato a UNESCO a Parigi. Ma vedo che la reazione della politica delle tre Regioni è stata irridente. Probabilmente, senza mai dirlo esplicitamente, questi amministratori dal 2000 in poi hanno visto nel marchio UNESCO solo un potenziamento del turismo di massa, utilizzando a sproposito termini come Qualità, Eccellenza o Sostenibilità. La Fondazione Dolomiti UNESCO oggi è priva di credibilità. Con mia grande sofferenza.

Quale è la missione affidata a questo libro?
Il libro riprende solo parte del lavoro propositivo svolto dall'ambientalismo della montagna. Oltre alla documentazione ha un altro scopo: invitare i miei amici ambientalisti, in ogni valle, in ogni territorio, mentre lavorano e costruiscono azione politica a scrivere e pubblicare il loro impegno. Ti assicuro, la montagna italiana è ricca di potenzialità ad oggi inespresse. Se io oggi mi ritengo abbastanza ricco di valore è grazie all'incontro di decine e decine di personalità straordinarie, grazie al loro giornaliero impegno.

marzo 2021


Autore: Corona Perer

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