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Mantova e Sabbioneta, l'armonia fu la regola

Due gioielli e un unico capolavoro disegnato dai Gonzaga

Distano tra loro poco meno di trenta chilometri e la storia dell'una richiama quella dell'altra: Sabbioneta e Mantova, condividono soprattutto un dna. Quello dei Gonzaga, tra le più splendide signorie del Rinascimento europeo. Oggi Sabbioneta è un piccolo paese di circa 4.340 abitanti, posto tra i fiumi Po e Oglio, nel cuore della Pianura Padana. Mantova ne conta invece quasi 48.000, e appare come una splendida signora adagiata su tre specchi d'acqua ricavati da un'ansa del fiume Mincio.

Nel Rinascimento le due città furono pari in bellezza e fama. Sabbioneta persino "maior" in quanto concepita come “città ideale” dal principe Vespasiano Gonzaga, sul modello delle antiche città romane murate, con pianta esagonale a forma di stella a sei punte, vie ordinate e tracciate a scacchiera. Così perfetta e regolare che fin dalla sua fondazione venne denominata la piccola Atene (sarebbe proprio qui - e non nella città greca - che William Shakespeare avrebbe concepito e ambientato la commedia "Sogno di una notte di mezza estate").

Il legame tra Mantova e Sabbioneta è sempre stato stretto ed in costante osmosi nel corso dei secoli. L'una precede l'altra, e l'insieme appare un capolavoro frutto delle concezioni urbanistiche, architettoniche e artistiche del Rinascimento, parto della cultura, delle idee e delle ambizioni che la famiglia regnante, i Gonzaga appunto, avevano espresso alla loro corte.

Le migliori menti ispirate agli ideali del primo Rinascimento vennero ed operarono qui e qui lasciarono capolavori. Tutto questo accadde per caso? No, non fu un caso.

Se Mantova e Sabbioneta sono oggi il 42° sito italiano riconosciuto e posto sotto tutela dall’Unesco, è grazie all'investimento che i Gonzaga posero a premessa del loro potere. Investirono in "cultura", un motore irripetibile che contribuì a fare di questo territorio un comprensorio unico fin dal primo Umanesimo.

Bisogna perciò risalire ai primi del '400 per capire il segreto e le ragioni di un potere che in piena epoca Rinascimentale era ammirato e temuto nelle corti di mezza Europa. E' qui - infatti - che nasce la prima scuola moderna, fondata su dettami umanistici prima pietra per la costruzione di quello "splendore" che dal capoluogo si irradierà, un secolo dopo, alla piana rurale occupata da Sabbioneta.

E' il 1422 quando Mantova chiama a sè un grande educatore. Si chiama Vittorino de' Rambaldoni, detto "da Feltre". Scende dalle montagne venete ed è figlio di uno scrivano di nome Bruto. Ha nobili origini (i suoi possedevano il castello di Fiànema, nel Feltrino), è dotato di acuta intelligenza e di insaziabile fame di sapere.

Nato tra il il 1373 e il 1378, è il prototipo di quello che oggi chiamiamo "cervello in fuga". Aveva lasciato la città natale a poco meno di 20 anni (nel 1396), per frequentare a Padova l'Università dove - al tempo - le lezioni erano gratuite e incontrare i grandi "dottori" più facile. Per poter studiare sui libri - all'epoca costosissimi - aveva fatto da lavapiatti al proprio maestro e contemporaneamente il “magister puerorum” (maestro di grammatica) nelle famiglie patavine, alternando l'occupazione allo studio delle discipline letterarie, matematiche e filosofiche.

Quando il Rambaldoni arriva a Mantova è già un pedagogista di chiara fama.

Nel ritratto oggi conservato al Louvre di Parigi emerge l'austera autorevolezza di questo precettore illuminato, che aveva abolito ogni punizione corporale, limitando i castighi alla perdita della benevolenza o del sorriso del maestro. Si mostrava inesorabile solo con la bestemmia e il turpiloquio: a tal punto che non esitò a schiaffeggiare pubblicamente il duca Carlo Gonzaga, il quale, giocando a palla, aveva bestemmiato. Vittorino non solo non ne subì conseguenze, ma anche il giovane Carlo imparò a stimare il maestro.

Discreto e austero nella vita privata, Vittorino si adoperava diplomaticamente per sanare inimicizie e ingiustizie. Quando necessario non esitava a dar torto allo stesso Gonzaga. Autorevole e dotto, era severo, incline all'ira, motivato da ferrea disciplina, non conosceva ozio ed occupava ogni istante del suo tempo con azioni di comune utilità. Educò il rampollino, le figlie e la cognata del Gonzaga, il quale gli aveva messo a disposizione una villa. Lui la trasformò in scuola, fondando la "Ca' Zoiosa" (gioiosa) posta presso un lago e immersa nella natura. La scuola divenne subito celebre e ambita, arrivarono richieste di ammissione dai vicini potentati, ma nell'accettare nuovi alunni, Vittorino volle che potessero accedervi anche i ragazzi meno abbienti della piana che si estendeva fino a Sabbioneta e questo proprio perché la "Ca' Zoiosa" era organizzata su una disciplina fondata sull'uguaglianza, sul rispetto della personalità, sulla fraternità, l'ordine. Anche il castigo, peraltro rarissimo, era un fatto di coscienza.

Con la "Ca' Zoiosa" nasceva la scuola moderna: un intenso lavoro mentale si alternava alle pratiche ginniche. Grammatica, matematica, filosofia: tanto i rampolli dei Gonzaga, quanto i giovani meno abbienti della piana potevano attingere alla cultura dell'illustre precettore. Siamo dunque agli albori di quel principio che oggi chiamiamo "Diritto allo Studio". Rambaldoni fu il primo, a seminare nei Gonzaga il gusto per il Bello e l'Arte secondo i dettami della pedagogia umanistica. Mantova divenne una vera capitale politica e culturale, soprattutto tra la metà del Quattrocento e l'inizio del Seicento.

Una città ricchissima, popolosa, all'avanguardia nell'economia, nelle arti e nella cultura, dove nel 1459 si tenne il concilio indetto da papa Pio II, (Casa Gonzaga annovera tra i suoi appartenenti una decina di cardinali, beati, e San Luigi Gonzaga, patrono della gioventù).

Fu la città dove si espresse il genio di Giulio Romano, allievo principale di Raffaello, che nel 1524 lasciò la corte papale appositamente per andare a servizio a Mantova, come artista di corte, su invito di Federico II Gonzaga. Il suo capolavoro fu la villa costruita fuori le mura della città, su quella che allora era l’isola Te o del Tejeto. Qui il marchese aveva le sue scuderie e la villa era adibita allo svago, al riposo e ai fastosi ricevimenti con gli ospiti più illustri. Qui poteva sfuggire ai doveri istituzionali e incontrare l'amante Isabella Boschetti.
Pur a capo di un minuscolo stato incuneato tra le grandi potenze regionali di Milano e Venezia, e sempre in bilico tra papato, impero e i nascenti stati-nazione, i Gonzaga erano forti della cultura e dello sfarzo che consentì loro di apparentarsi con i maggiori casati e le famiglie imperiali dell'epoca.

Dalle loro discendenze venne Vespasiano, il fondatore di Sabbioneta (un paesello che nel 1478 i Gonzaga di Mantova avevano ceduto ai Gonzaga di Gazzuolo, loro cugini). E' nel 1544 che il principe Vespasiano Gonzaga Colonna eredita il piccolo borgo di Sabbioneta. Abile condottiero, lo trasforma in una piazzaforte moderna, in modo da potersi difendere con successo dai numerosi e agguerriti stati limitrofi.
Non fu nemmeno questo un caso: nella terra che aveva visto nascere la prima scuola moderna, le moderne concezioni urbanistiche di un Rinascimento ormai adulto avevano ispirato il condottiero umanista, amante delle arti, che pensò di creare una città ideale, a misura d’uomo, in cui il Bello dominasse senza contrasti e fosse funzionale di ogni intento culturale.

Furono così edificati il Palazzo Ducale (Vespasiano ottenne nel 1577 il titolo di Duca dall’imperatore Rodolfo II d’Asburgo), il Teatro all’antica o Teatro olimpico edificato sul modello del teatro greco ma prima costruzione moderna destinata unicamente a questo scopo, le chiese dell’Assunta Incoronata, del Carmine, la Sinagoga e il quartiere ebraico. Come i suoi predecessori mantovani, era così innamorato di arte e scienza da intraprendere viaggi all'epoca inauditi. Da Praga, torna nel 1588 con un astrolabio gemello di quello dell'imperatore, motivo di ammirazione e ulteriore prestigio a corte.

Le opere da lui volute rimasero intatte e ora è possibile visitarle in questa cittadina che è stata inserita nel 2008 dall’UNESCO nell’elenco dei patrimoni dell’umanità insieme alla sorella maggiore Mantova. Entrambe hanno un Palazzo Ducale. Se a Mantova eccelle il Palazzo Te, a Sabbioneta merita una visita il Palazzo del Giardino, villa di riposo di Vespasiano, con interni decorati da stucchi e affreschi straordinari.

A Sabbioneta merita una visita la Galleria degli Antichi, che ospitava le collezioni del Duca, la terza per estensione in Europa, dopo quella degli Uffizi e del Vaticano. Vespasiano sapeva di non essere immortale e così progettò persino il Mausoleo per i propri giorni "eterni" con una statua funebre realizzata da un allievo di Michelangelo.
 

Bene ha fatto il Comitato del Patrimonio Mondiale, che a Quebec City, in Canada, ha inserito, nel luglio 2008, le due città nella lista dei luoghi da salvaguardare per le future generazioni. Legate a filo doppio alla famiglia regnante dei Gonzaga, Mantova e Sabbioneta sono una testimonianza eccezionale della prima area metropolitana della storia, frutto di quel Rinascimento che ci rende ancora unici agli occhi del mondo. Oggi che sono due città distinte, rappresentano un unico bene, nato come espressione della volontà del Signore rinascimentale di manifestare la propria grandezza. Quella grandezza all'epoca si chiamava “cultura”. Una lezione che i posteri contemporanei, dilaniati dalla crisi, non hanno ancora compreso del tutto.

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Questo articolo ha ricevuto una menzione speciale
al concorso giornalistico
"Mantova e Sabbioneta Patrimonio Unesco"


Autore: Corona Perer

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