Attualità, Persone & Idee

No alla Guerra, senza se e senza ma

Dove è finito il popolo che dice no alla Guerra?

Dove è finito il popolo che dice no alla Guerra? A Berlino dove nei giorni scorsi si è tenuta una grande manifestazione esiste, in Italia no. La cosidetta sinistra che ne aveva l'appalto ha più a cuore altre istanze. In Italia no. Eppure esiste anche in Ucraina dove chi osa parlarne è incarcerato. Lo ha rivelato una blogger fuoriuscita dal paese. Zelensky non vuole saperne di arrendersi contro ogni suggerimento anche del suo esercito, e Putin va avanti.

Dire no alla Guerra, senza se e senza ma era il mantra dei pacifiti. Ma dove è finito il popolo che dice no alla Guerra? Eppure c'era, venti anni fa. Era il 15 febbraio del 2003 quando oltre 100 milioni di persone scesero nelle piazze delle principali città del mondo per opporsi all’imminente guerra che sarebbe stata poi scatenata in Iraq.

Si trattò della più grande manifestazione pacifista della storia, e la società civile che la animò fu definita dal New York Times “la seconda potenza mondiale”.

Per riflettere su questa “terza guerra mondiale a pezzi” a cui stiamo assistendo ad un anno dalla guerra in territorio ucraino, occorre chiedersi se esista ancora un movimento internazionale contro la guerra. Siamo sospesi sul baratro nucleare, ma seduti sul divano ad osservare gli eventi.

A parlare contro la guerra oggi non mancano voci autorevoli: manca il popolo, soprattutto quello italiano che deve digerire una guerra che non vuole.E anche le voci che si levano restano inascoltate, come quella di Roger Waters (Pink Floyd) intervenuto pochi giorni fa al Consiglio dell' Onu. LA SUA VOCE ....ANCHE PER NOI.

 

***


30 anni da DESERT STORM

17 gennaio 2021 - Sono passati 30 anni dalla sanguinosa e cruenta "Guerra del Golfo". Alle 2:38 di mattina della notte tra il 16 e il 17 gennaio del 1991, appena 18 ore e 38 minuti dopo la scadenza dell'ultimatum sancito dalle Nazioni Unite, iniziava l'operazione “Desert Storm”, la più imponente azione militare alleata dopo il 1945.

In America governava George Bush, in U.K Tony Blair. In quello che sarebbe stato il primo conflitto della storia trasmesso in diretta televisiva sarebbero state sganciate 90.000 tonnellate di bombe, segnando un nuovo punto di non ritorno rispetto a cosa era ritenuto accettabile dall’opinione pubblica globale.

Quante furono le vittime di quei 40 giorni in cui caddero più bombe sull’Iraq che in tutta la Seconda Guerra Mondiale? Le stime parlano di circa 200mila persone, ma le conseguenze di lungo periodo ne avrebbero colpite molte di più. Tra le più gravi, le malattie causate tra i bambini a causa dell’utilizzo di armi chimiche, che avrebbero fatto sentire i propri effetti per anni.

Da quella tragedia, fiorirono in Italia anche esperienze psitive come l’associazione pacifista italiana Un Ponte Per (UPP), divenuta poi anche Ong, grazie all’iniziativa volontaria di donne e uomini che scelsero di non cedere al silenzio complice di fronte allo scempio che si stava commettendo, anche a causa del contributo militare italiano.

Avviata come campagna di solidarietà verso la popolazione irachena colpita, anche con iniziative di disobbedienza civile – come l’importazione illegale di datteri iracheni in violazione dell’embargo dichiarato sull’Iraq – UPP si sarebbe in seguito strutturata come Organizzazione non governativa, continuando ad operare e restare a fianco del popolo iracheno per i successivi 30 anni. Oggi UPP continua a lavorare nella solidarietà, nella cooperazione, nello sviluppo e nella costruzione della pace in un paese che ancora porta sulla pelle le cicatrici di quella guerra.

E in Italia ci fu un musicista intellettuale a porre la questione irachena: Franco Battiato.

Trent’anni dopo quella drammatica notte, quali sono le conseguenze ancora tangibili in un paese come l’Iraq, che ha continuato ad affrontare stagioni di guerre, violenze, terrorismo? Quanti di quegli effetti di lungo periodo continuano a lasciare traccia in un Medio Oriente che sembra non conoscere pace?

Ne sappiamo molto poco, i libri di storia si fermano al secondo dopoguerra e in questo momento specifico le scuole sono pure chiuse. Leggere la contemporaneità, riflettere su questioni di pace e giustizia sembra essere attività accessoria. Non lo è affatto, non lo è mai.

www.giornalesentire.it - riproduzione riservata*

Commenti (0)