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Le istituzioni internazionali non funzionano

Una risoluzione annacquata su Gaza che parla di aiuti ma non di cessate il fuoco

23 dicembre 2023 -  Le istituzioni internazionali non funzionano, ormai lo sappiamo. In primis l'ONU. L'ultima pessima performance è la risoluzione annacquata su Gaza che parla di aiuti ma non di cessate il fuoco. La risoluzione adottata il 22 dicembre chiede l’istituzione di “un meccanismo” per accelerare la fornitura degli aiuti umanitari a Gaza.

Il testo approvato dal Consiglio di sicurezza ONU chiede in sostanza “misure urgenti per consentire immediatamente l’accesso in condizioni sicure, privo di ostacoli e ampio degli aiuti umanitari” . Si parla di “condizioni per una cessazione sostenibile delle ostilità” un testo  palesemente insufficiente rispetto alla carneficina in corso e alle estese distruzioni causate dagli attacchi israeliani contro la Striscia di Gaza occupata.

Precedenti bozze della risoluzione, contenenti le richieste di un’urgente “cessazione delle ostilità” o di una “sospensione delle ostilità”, sono state eliminate a causa delle obiezioni degli Usa, che avevano già posto il veto a due risoluzioni del Consiglio di sicurezza, il 18 ottobre e l’8 dicembre.

''Niente che non sia un cessate il fuoco può essere sufficiente per alleviare le sofferenze di massa dei civili cui stiamo assistendo” commenta  Amnesty International. “Il voto sulla risoluzione, annacquata quanto basta per evitare il veto statunitense, non chiede l’immediata sospensione delle ostilità ma parla di ‘creare le condizioni’ perché ciò accada. DI fronte all’agghiacciante numero di vittime, oltre 20.000, e all’orribile dimensione delle distruzioni e delle devastazioni a Gaza, tutto ciò è semplicemente inaccettabile. È deplorevole che gli Usa abbiano potuto allungare i tempi e minacciare di usare il potere di veto per costringere il Consiglio di sicurezza a indebolire la richiesta, quanto mai necessaria, di un’immediata fine degli attacchi da tutte le parti”.

Cosa risponde Google se digitate Onu-Consiglio di Sicurezza? '' Il Consiglio di Sicurezza è l'organo esecutivo delle Nazioni Unite responsabile del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali. E' composto da cinque membri permanenti con diritto di veto (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Russia e Cina) e dieci membri eletti per mandati biennali''.

L'Italia come noto non c'è, ma a che serve del resto?

 

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COSI' NON VA

Presentato il Rapporto 2022-2023
 

Il “Rapporto 2022-2023. La situazione dei diritti umani nel mondo”, presentato da Amnesty International  rivela come doppi standard e risposte inadeguate alle violazioni dei diritti umani nel mondo abbiano alimentato impunità e instabilità.

Le istituzioni internazionali non funzionano denuncia Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.

È fondamentale che le istituzioni e i sistemi internazionali che dovrebbero proteggere i nostri diritti siano rafforzati piuttosto che indeboliti. La prima cosa da fare è finanziare appieno i meccanismi sui diritti umani delle Nazioni Unite in modo che le indagini e l’accertamento delle responsabilità proseguano e si arrivi alla giustizia.

Amnesty International chiede quidi una riforma del massimo organo decisionale delle Nazioni Unite, il Consiglio di sicurezza, in modo che possa essere la voce degli stati e delle situazioni tradizionalmente ignorate, soprattutto nel Sud globale.

“Il sistema internazionale ha bisogno di una seria riforma che rifletta la realtà odierna. Non possiamo permettere agli stati membri permanenti del Consiglio di sicurezza di trincerarsi dietro al loro potere di veto e di mantenere immutati i propri privilegi. La mancanza di trasparenza e di efficacia nel processo decisionale del Consiglio di sicurezza rende l’intero sistema aperto alle manipolazioni, agli abusi e alle disfunzioni”, ha aggiunto Callamard.

“La Dichiarazione universale dei diritti umani venne adottata 75 anni fa, sulle ceneri della Seconda guerra mondiale, per riconoscere universalmente diritti e libertà fondamentali a tutte le persone. Nel caos delle dinamiche dei poteri globali, i diritti umani non possono finire persi nella mischia. Devono guidare il mondo in una navigazione sempre più volatile e in un ambiente pericoloso. Non dobbiamo attendere che il mondo bruci un’altra volta”, afferma la Callamard.

 

Dopo una rticolata analisi sulla guerra in Ucraina, che però non considera le situazioni dal 2014 ad oggi che l'hanno prodotta, Amnesty  segnala  l’uso di pesanti tattiche da parte della Cina per impedire l’azione internazionale sui crimini contro l’umanità che ha commesso, così come il fallimento delle istituzioni regionali e internazionali, favorito dagli interessi egoisti degli stati membri, di fronte alle migliaia di uccisioni in Etiopia, Myanmar e Yemen. Il rapporto parla anche della tragica situazione tra Palestina ed Israele, ma i riferisce solo al 2022 tacendo le molti morti di questi primi mesi del 2023. Si legge infatti nel rapporto:

 

''Per i palestinesi della Cisgiordania occupata il 2022 è stato uno degli anni più mortali da quando, nel 2006, le Nazioni Unite hanno iniziato a registrare i numeri delle vittime: lo scorso anno sono stati 151 i palestinesi uccisi, tra i quali decine di minorenni, dalle forze israeliane. Queste hanno anche continuato a espellere i palestinesi dalle loro case. Il governo israeliano ha in programma una grande espansione degli insediamenti illegali nella Cisgiordania occupata. Invece di chiedere la fine del sistema israeliano di apartheid, molti stati occidentali hanno scelto di attaccare i promotori di tale richiesta''.

Viene denunciata una clamorosa ipocrisia e i doppi standard. ''Gli stati non possono criticare le violazioni dei diritti umani in un luogo e, un minuto dopo, perdonare situazioni analoghe in un altro solo perché sono in ballo i loro interessi. Tutto questo è incomprensibile e minaccia l’intera struttura dei diritti umani universali”, afferma Callamard.

“C’è  bisogno che gli stati che finora hanno esitato assumano una chiara posizione contro le violazioni dei diritti umani ovunque si verificano. Servono meno ipocrisia, meno cinismo, più coerenza, più azione basata sull’ambizione e sui principi da parte di tutti gli stati per promuovere e proteggere tutti i diritti”, ha sottolineato Callamard.

Amnesty denuncia anche la brutale repressione del dissenso nel mondo. Giornalisti sono stati imprigionati in Afghanistan, Etiopia, Myanmar, Russia, Bielorussia e in decine di altri stati del mondo dove erano divampati conflitti (il rapporto tace però le misteriose morti di blogger in Ucraina).

In Australia, India, Indonesia e Regno Unito le autorità hanno introdotto nuove leggi per limitare le manifestazioni, mentre lo Sri Lanka ha fatto ricorso ai poteri dello stato d’emergenza per stroncare le proteste di massa contro la crescente crisi economica. Le norme entrate in vigore nel Regno Unito hanno dato alle forze di polizia poteri molto ampi, compreso quello di vietare “proteste rumorose”, compromettendo così la libertà di espressione e di protesta pacifica.

La tecnologia è stata utilizzata come arma per diffondere disinformazione o per ridurre al silenzio o impedire le proteste.

In Iran le autorità hanno risposto con la forza illegale a una sollevazione senza precedenti contro decenni di repressione, ricorrendo a proiettili veri, pallottole di metallo, gas lacrimogeni e pestaggi: sono state uccise centinaia di persone, tra cui decine di minorenni. Anche le forze di sicurezza del Perú, a dicembre, hanno usato la forza illegale in particolare contro nativi e campesinos, per stroncare le proteste seguite alla crisi politica scaturita dalla deposizione dell’ex presidente Castillo. Giornalisti, difensori dei diritti umani e oppositori politici hanno subito repressione anche in altri stati, tra i quali Zimbabwe e Mozambico.

Di fronte alle crescenti minacce al diritto di protesta, nel 2022 Amnesty International ha lanciato una campagna per contrastare gli sforzi intrapresi in modo sempre più intenso dagli stati per erodere il diritto fondamentale di protesta pacifica.

La repressione del dissenso e gli approcci incoerenti ai diritti umani hanno avuto un profondo impatto anche sui diritti delle donne.

La Corte suprema degli Usa ha annullato una duratura garanzia costituzionale sul diritto d’aborto e ha messo a rischio altri diritti umani di milioni di persone che potrebbero avere una gravidanza, quali quelli alla vita, alla salute, alla riservatezza, alla sicurezza e alla non discriminazione.

Alla fine del 2022, diversi stati degli Usa avevano approvato leggi per vietare o limitare l’accesso all’aborto. In Polonia, attiviste sono finite sotto processo per aver aiutato donne ad avere accesso a pillole abortive.

Le donne native hanno continuato a subire, in modo sproporzionato, alti livelli di stupro e di altre forme di violenza sessuale. In Pakistan ci sono stati diversi omicidi di donne da parte dei familiari ma il parlamento non ha approvato la legge sulla violenza domestica di cui stava discutendo sin dal 2021. In India, sono rimasti impuniti sia casi di violenza contro le donne dalit e adivasi che ulteriori crimini di odio contro le caste.

In Afghanistan, a seguito di una serie di editti emessi dai talebani, c’è stato un grave arretramento dei diritti delle donne e delle ragazze all’autonomia personale, all’istruzione, al lavoro e all’accesso agli spazi pubblici. In Iran la “polizia morale” ha arrestato Mahsa (Zina) Amini poiché aveva una ciocca di capelli fuori dal velo: alcuni giorni dopo è morta a seguito di tortura. La sua morte ha dato vita a proteste nazionali in cui molte altre donne e ragazze sono state arrestate, ferite e uccise.

L’azione globale contro le minacce nei confronti dell’umanità è clamorosamente inadeguata

Nel 2022 il mondo ha continuato a subire le conseguenze della pandemia da Covid-19. La crisi economica ha fatto sì che il 97 per cento della popolazione dell’Afghanistan viva in povertà. Ad Haiti la crisi politica ed economica, esacerbata dalla diffusa violenza delle bande criminali, ha fatto finire oltre il 40 per cento della popolazione in una situazione di acuta insicurezza alimentare.

Le condizioni meteorologiche estreme hanno portato fame e malattie in diversi stati dell’Asia meridionale e dell’Africa subsahariana: ad esempio, in Nigeria e in Pakistan le alluvioni hanno avuto un impatto catastrofico sulla vita e sui beni di sussistenza delle popolazioni e hanno contribuito alla diffusione di malattie trasmesse dall’acqua, che hanno ucciso centinaia di persone.

Di fronte a questo scenario, gli stati non hanno agito nell’interesse dell’umanità né hanno risolto la dipendenza dai combustibili fossili, il principale responsabile della più grande minaccia contemporanea alla vita. Questo fallimento collettivo è stato un altro esempio della debolezza dell’attuale sistema multilaterale.

“Il mondo è assediato da un assalto di crisi che collidono tra loro: conflitti diffusi, economie globali crudeli che finiscono per caricare sulle spalle di molti stati un debito insostenibile, evasioni fiscali da parte delle aziende, uso della tecnologia come arma, crisi climatica e placche tettoniche dei poteri in movimento. Non avremo alcuna possibilità di sopravvivere a queste crisi se le nostre istituzioni internazionali non saranno all’altezza”, ha commentato Callamard.

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